Save the nerd

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Salvare un nerd iper dipendente da tecnologie e connessioni internet. Come fare?

Ci pensano alcuni amici italiani del nerd (anche lui italiano): lo caricano su una barca a vela e gli fanno attraversare l’Oceano Atlantico. Niente internet in mezzo a quella distesa sconfinata d’acqua. Il tablet o lo smartphone non si connettono a niente. E dopo poco non hanno più nemmeno abbastanza batteria per accendersi. Il nerd rischia di impazzire, ma poi se ne fa una ragione e si disintossica. Si potrebbe definire una terapia d’urto. In verità il gruppo di amici e’ già partito da Antigua e ha già attraversato l’oceano: sono da poco arrivati alle Azzorre.

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Hanno sfidato tempeste e onde e adesso stanno navigando verso Gibilterra. Il nerd non parla nemmeno più di internet e affini. Insomma: la terapia d’urto ha funzionato!

Potete informarvi si tutta questa avventura per fuggire da internet proprio su internet, all’indirizzo http://www.savethenerd.it, aggiornato dagli amici che, una volta arrivati alle Azzorre hanno scritto del loro viaggio e di come si è comportato il povero nerd: che per ora non scrive più niente (mica avranno esagerato con la cura?).

 

Ode al fior di zucca (o anche di zucchina)…

fiori_di_zuccaÈ arrivata? Si, forse è arrivata anche qui la primavera. E con il teporino di un sole ancora alle prime armi arriva anche la carica di sapori e colori tipici di questo periodo.

Il mio rammarico è che qui, dove sto io, non è frequente riuscire ad andare al mercato, quel bel mercato di ortaggi e frutte freschi che rende così bella le piazze d’Italia. Qui per lo più mi devo accontentare dei banchi della frutta dei super mercati attorno ai quali ci si affastella come dei medici, scegliendo con i nostri guantini di plastica trasparente in dotazione, infilando in sportine, sempre di plastica trasparente, quello che reputiamo essere il miglior soggetto tirato fuori dalla cesta di peperoni, zucchine, melanzane, carote, fagioli, mentre al posto dei richiami del verduriere ci sorbiamo la musichetta come se fossimo in ascensore…

E spesso trovo lo zenzero, ma non il carciofo, trovo il cardo ma non la cima di rapa, l’avocado, ma non il tarocco. Del resto, paese che vai…

Eppure oggi sono comparsi, in tutta la loro gialla bellezza. Ho avuto una stretta al cuore, erano loro: i fiori di zucca!

Più li guardavo più il livello di acquolina in bocca saliva. Ho incominciato a ripassare mentalmente tutte le ricette: risotto ai fiori di zucca, tortino ai fiori zucca, spaghetti con gamberetti e fiori di zucca. Ma più ci pensavo più mi veniva in mente il trionfo del fiore di zucca: ripieno in pastella, fritto e divorato al momento!

Le possibilità per il ripieno sono infinite: pomodoro secco e mozzarella, acciughe e mozzarella, prosciutto e mozzarella, ricotta e pomodorini, insomma fatevi venire in mente due ingredienti e poi riempite i fiori, comunque saranno favolosi…

Se leggete le proprietà del fiore di zucca, vi stupiranno: sono pieni di carotene, vitamina B2 e di ferro, sono diuretici, digeribili e rinfrescanti… a patto che si cucinino senza grassi…

Beh, allora avete sbagliato blog. Quelli che vi propongo sono: fritti, ripieni, grassi e deliziosamente indigesti… si vive una volta sola!

Pastella: 100 g di farina, un tuorlo d’uovo, 150 ml di acqua gassata freddissima (questo rende la frittura leggera), un pizzico di sale

Ripieno: tutto quello che vi fa venire l’acquolina in bocca, io consiglio pomodori secchi e mozzarella.

Cottura: olio bollente (di semi più leggero, l’evo potrebbe ammazzare il gusto delicato dei dei fiori)

Una volta cotti vanno mangiati, non c’é verso di poterli conservare, quindi fate spazio e godetevi un pasto da re!

 

 

 

 

 

Fundamentals: 14 biennale di architettura a Venezia

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Il 7 giugno si aprirà a Venezia la 14° edizione della Biennale di architettura. Quest’anno il curatore è l’olandese Rem Koolhaas, architetto urbanista e saggista. Tutta la mostra è racchiusa nel titolo Fundamentals. Pensata come un corpo unico, i padiglioni internazionali e quello centrale ruotano attorno alla storia della modernità per arrivare a comprendere meglio gli sviluppi più recenti e tracciare anche un’idea di architettura per il futuro.
Fundamentals si divide in tre sezioni: “Absorbing Modernity 1914-1924, Elements of Architeture e Monditalia”.

Rem Koolhaas
Rem Koolhaas

 

La prima sezione, Absorbing Modernity sarà presentata nei diversi padiglioni internazionali, ogni paese è invitato a riflettere sulla propria tradizione architettonica e sulle trasformazioni avvenute nell’adottare il linguaggio moderno nel tempo.

Nel padiglione centrale dei Giardini invece si troverà allestita la mostra Elements of architecture, in cui l’attenzione si concentra attorno a tutti gli elementi più comuni usati dagli architetti: dai pavimenti, alle facciate, i balconi, i corridoi, le scale e così via. “Vogliamo dare uno sguardo nuovo agli elementi fondamentali dell’architettura – ha detto Koolhaas – utilizzati da qualsiasi architetto, ovunque e in qualsiasi momento per vedere se siamo in grado di scoprire qualcosa di nuovo sull’architettura”.

Infine la sezione Monditalia si terrà nel padiglione Italia e avrà il compito di riunire e far incontrare aree diverse di interesse, legate però sempre all’architettura come la tecnologia, l’economia, la politica e la religione.

Nel giorno dell’inaugurazione verrà consegnato il Leone d’oro alla carriera, quest’anno andrà ad una donna, l’architetto Phyllis Lambert. Architetto, storico e critico d’architettura, ma anche fotografa Phyllis Lambert è stata la fondatrice e direttrice del Canadian Centre Architecture a Montreal (un centro studi nato per promuovere e divulgare la conoscenza dell’architettura e conservare episodi fondamentali del patrimonio architettonico). Oltre a questo ricordiamo che nel 1955 ha ricoperto il ruolo di Direttore della pianificazione del Seagram Building , il grattacielo progettato da Ludwig Mies Van Der Rohe e Philip Johnson (1954-58) a New York.

Seagram Building
Seagram Building

Tra le tante motivazioni per il premio che le verrà assegnato si legge “gli architetti creano architettura Phyllis Lambert ha creato architetti”.

La Biennale di Venezia è un’occasione da non perdere, certamente questa è dedicata a tutti  gli architetti, ma anche a tutti gli appassionati che vogliono capire un po’ di più sullo stato attuale dell’architettura, lo sviluppo e le prospettive future per le nostre città.

 

 

Un, due, tre, stella!

1928_pablo_picasso_1050_il_gioco_della_pallaIl 28 maggio si celebrerà la Giornata mondiale del gioco. Questo evento, promosso dall’associazione internazionale delle ludoteche, ancora non è stato ufficializzato dalle Nazioni Unite, ma, come sperano gli organizzatori, entro l’anno sarà finalmente ratificato.

L’importanza del gioco, che sempre maggiormente tende ad essere uno dei meno difesi diritti dell’infanzia, è basilare. Fa parte del processo di crescita, perché svolge una funzione strutturante dell’intera personalità. Fin dalla culla infatti il bambino comincia a “giocare”, cosa che gli permette di distinguere il sé dal non sé. È il primo gradino di uno sviluppo che lentamente lo porterà alla soglia dell’età adulta.

Dapprima i giochi non strutturati, poi piano piano tutti quegli altri che implicano regole da seguire, che permettono al bambino di fare la conoscenza di un mondo altro da sè stesso, mosso da criteri ben precisi, che incomincia a percepire attraverso l’attività ludica.

Piaget affermava che il gioco è lo strumento primario per lo studio del processo cognitivo del bambino essendo esso la più spontanea attitudine del pensiero infantile. Oltre alla cognizione, il gioco stimola la socialità e la capacità di agire insieme ad altri soggetti.  Se “…l’uomo è pienamente tale solo quando gioca”, come dice Schiller, allora il diritto dei bambini al gioco è sacrosanto!

Ma cosa accade in una società così strutturata come quella attuale? Capita che i bambini si lamentino della mancanza di tempo per giocare, per dare sfogo al loro io più profondo attraverso l’azione ludica. Sembra un paradosso eppure scuola, compiti, “attività” pomeridiane (piscina, tennis, danza, piano e chi più ne ha ne metta)… non lasciano loro il tempo per dedicarsi al gioco! Preoccupati come siamo, noi genitori riempiamo le “agende” dei nostri figli affinché non rimanga loro neanche un attimo di tempo libero non codificato, non regolamentato, non osservato dagli adulti durante il quale donarsi completamente al gioco.

Ecco spero che questa giornata, per quanto solo simbolica possa riportare tutti, noi adulti e i bambini, a riaffermare l’importanza del gioco.

Chiacchiere del lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Scherzetto o dolcetto?

Caro sindaco di Pomezia, le scrivo sulla scelta di offrire due menu diversi alla mensa scolastica; uno più caro e completo e uno meno costoso e più modesto per chi non si può permettere il primo. Le scrivo per fornirle una testimonianza. All’estero, dove vivo, nella nostra scuola hanno scelto così: la mensa è costosa e offre solo una scelta. Chi non desidera la mensa può portarsi il pranzo da casa. Ho avuto anche la fortuna di lavorare per un po’ con i bambini delle elementari nelle ore dei pasti e le posso assicurare che questa scelta non porta a nessuna forma di discriminazione: ho visto guardare con gran desiderio il dolcetto portato da casa, da parte di bambini della mensa, ma anche il bambino col pranzo da casa che osservava qualcosa nel piatto dell’amico servito dalla mensa. Creda, in nessun modo posso immaginare due menu a prezzi diversi e se proprio si deve trovare una soluzione il dolcetto lo pagherà doppio chi lo potrà fare.

 

La Piazza dei Mestieri

piazza dei mestieri Esiste in Italia un luogo in cui l’obiettivo finale è quello di creare un punto di aggregazione dei giovani in cui si può sperimentare un positivo approccio alla realtà. Non è una scuola, non è un’ accademia, è un posto dove si cerca veramente di sviluppare il potenziale dei ragazzi in un’età che va dall’adolescenza alla vita adulta.

Si tratta della Piazza dei Mestieri che si rivolge ai giovani dai 14 ai 20 anni, una fascia di età delicata formata da ragazzi che spesso senza neppure accorgersene, allontanandosi dalla scuola regolare, si trovano in una posizione che più facilmente li porta a scivolare verso forme di esclusione sociale. Sono quei ragazzi rassegnati, esitanti, in una parola “difficili”, che si sentono soli, non amati, inadatti. Qui ancor prima di imparare un mestiere si lavora per recuperare il valore della loro persona, si insegna loro ad autoaffermarsi, a dire “io” in modo che le cose che li circondano riprendano interesse e valore.

Il progetto nato a Torino, e per ora esportato solo a Catania, è vincente. Una massa sempre maggiore di ragazzini viene attirata da questa struttura che non solo li accompagna negli anni formativi, ma che non li abbandona dopo, aiutandoli ad entrare nel mondo del lavoro.

Ispirandosi alle piazze che fanno parte della tradizione storica italiana, nella Piazza dei Mestieri ciò che accade è la trasmissione del sapere, del mestiere, delle capacità, delle abilità. Un luogo in cui avviene quasi magicamente uno scambio proficuo di idee e un confronto fra di esse.cuochi

Sotto l’imperativo di valorizzare i talenti, grazie anche all’introduzione dell’arte, della musica e del gusto, i ragazzi che frequentano i corsi di formazione qui erogati, vengono rieducati a una vita responsabile, sollecitati ad impegnarsi e ad essere liberi.

Gli insegnamenti sono gratuiti e accompagnati anche da numerose borse di studio, si frequenta la scuola e si lavora (al ristorante; al pub, dove si produce anche la birra; nella pasticceria, che sforna tonnellate di cioccolato). Ogni anno sono circa 200 (nella sola struttura torinese) i ragazzi che concludono il ciclo di studi e formazione, di cui il 90% trova lavoro nel campo in cui si è specializzato, grazie anche alla collaborazione non solo di grandi industrie, ma anche della struttura portante dell’economia italiana: le aziende artigiane di piccole e medie dimensioni, che qui reclutano lavoratori capaci ed entusiasti.

Luogo di progettazione, di formazione, di accoglienza, di supporto scolastico, ma anche di aggregazione, di attività musicali, teatrali e cinematografiche, Piazza dei Mestieri è una realtà tutta italiana, un altro modo di aiutare i giovani a trovare la propria strada.

Il libro è come la bicicletta?

Anselm Kiefer, Naglfar,1998
Anselm Kiefer, Naglfar,1998

Ho visitato il salone del libro di Torino e quello di Ginevra. Il primo più grande e vitale del secondo. Ho visto tanta gente attorno a tavoli allestiti con libri di tutti i tipi, tra best seller, grandi classici, manuali di tutto e guide per andare ovunque.

Mi chiedo: siamo davvero così sicuri che il libro sarà presto un oggetto raro?.

Se osservo le mie figlie, noto che per ora mantengono le due cose contemporaneamente: scaricano e-book con grande facilità ma poi tornano al libro con eguale facilità.

Eppure la mia generazione ha visto scomparire la macchina da scrivere. I quarantenni ricordano? Scomparve tutta d’un colpo, dopo di che nessun giovane la usò più. Ricordo mio padre che la osannava, ma dopo poco è rimasta nel suo ufficio a prendere polvere: Ora che mio padre ha 83 anni scrive benissimo sul computer, manda e riceve e-mail e da poco è passato all’Iphone. Quell’uomo mi sorprende ogni volta e sono fiera di lui e di come sia riuscito a restare al passo con i tempi.

Parlando con i librai, in occasione della mia visita alle fiere menzionate sopra, ho saputo che (in Europa) l’e-book va forte in Inghilterra, ma trova ostacoli in paesi come Francia e Germania. Mi spiegavano anche che l’uso dell’e-book è in ascesa, ma non va però così veloce e anzi con il tempo si è assestato attorno ad un 25% .

Sentite quali sono le mie previsioni: il libro avrà un compagno nella storia degli oggetti. Infatti  c’è un altro oggetto che ha resistito alle mode, alla tecnologia e alla comodità e, anche se si è fatto affiancare da oggetti più moderni, rimarrà per sempre se stesso: la bicicletta.

Arman, Accomulation
Arman, Accomulation

Pensateci, dopo aver trascorso più di un secolo in cui tutti devono e amano andare di corsa con il motorino, la macchina o l’aeroplano, il veicolo a due ruote, che per azionare il quale occorre far spinta sui pedali, è sempre lì al suo posto. Certo la bicicletta è meno comoda, si arriva sempre dopo, ma tutti ne posseggono una. Quindi la mia previsione è che l’e-book sicuramente sarà sempre più diffuso, ma il libro non passerà mai.

Il libro sarà un oggetto da regalare ai bambini, come la prima bicicletta: quel veicolo magico a due ruote che –  ho scoperto di recente – in francese ha un nome particolare pieno di fascino e degno di una fiaba: la Petite reine.

 

Ancora Gomorra

Tv: 'Gomorra - La serie'; dal 6 maggio debutta su Sky Atlantic“Sono nato in terra di camorra, nel luogo con più morti ammazzati d’Europa, nel territorio dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha valore se non genera potere. Dove tutto ha il sapore di una battaglia finale… In terra di camorra combattere i clan non è lotta di classe, affermazione del diritto, riappropriazione della cittadinanza. Non è presa di coscienza del proprio onore, la tutela del proprio orgoglio. È qualcosa di più essenziale, di ferocemente carnale. In terra di camorra conoscere i meccanismi d’affermazione dei clan, le loro cinetiche di estrazione, i loro investimenti significa capire come funziona il proprio tempo in ogni misura e non soltanto nel perimetro geografico della propria terra. Porsi contro i clan diviene una guerra per la sopravvivenza, come se l’esistenza stessa, il cibo che mangi, le labbra che baci, la musica che ascolti, le pagine che leggi non riuscissero a concederti il senso della vita, ma solo quello della sopravvivenza. E così conoscere non è più una traccia di impegno morale. Sapere, capire diviene necessità. L’unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare”.

Così si chiude Gomorra, il potente affresco che Roberto Saviano pubblicò nel 2006, presentando al mondo intero con una prosa secca, precisa e con immagini dure e sconvolgenti il “sistema” camorra. È da questo libro che nel 2008 è stato tratto il film intitolato Gomorra, diretto da Matteo Garrone anch’esso un capolavoro, freddo, crudele senza possibilità di redenzione, come il libro.

E poi sulla scia del successo ottenuto è nata anche la serie televisiva prodotta da Sky, Cattelaya e Fandango, con la regia di Stefano Sollima e la fotografia, fredda e graffiante di Paolo Carnera. La serie è già un mito. Venduta in 40 paesi è stata definita da Aldo Grasso “una corsa spettrale, livida, notturna, che spaventa e seduce, come fosse il racconto di una civiltà esausta, senza redenzione” dove “il male perde i contorni rassicuranti dell’estraneo e ne acquista di più familiari, quelli che ci appartengono”. 

La serie è girata e recitata con grande maestria e competenza (bravi gli attori, perfetti nei loro ruoli, quasi mitica nella sua ferocia la figura del boss Savastano), si intuisce la mano di Saviano che ha aiutato gli sceneggiatori a mostrare questa umanità decisamente perduta. Tuttavia la cosa più sconvolgente, perché è questo che mi ha colpito, è proprio il suo aspetto seducente di prodotto perfettamente confezionato, che ottiene ciò che promette. Guardando questa serie infatti (come guardando gli americani Dexter, o Breacking bad, in cui l’orrore fa da padrone) lo spettatore quasi si affeziona, quasi dimentica che si tratta di bestie feroci, diventa partecipe delle azioni dei protagonisti, fa il tifo per un cattivo piuttosto che per un altro. La televisione ci ha abituato a qualunque tipo di orrore, ed è forse questo allenamento continuo che fa perdere di vista allo spettatore la realtà brutale dei fatti. Ma non dimentichiamo una cosa fondamentale se nelle serie americane l’orrore è “solo” una rappresentazione, qui è la realtà che tragicamente viene messa in scena, ma la perfezione del prodotto ce lo fa dimenticare.

Arte pubblica e cultura pop

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Mai come in questo periodo sono andati più di moda i morti viventi. Vittorio Zucconi su La Repubblica di venerdì scorso ci ha addirittura informato che, negli Stati Uniti, il Pentagono, ha finanziato un progetto (nel 2009) chiamato “Progetto 8888”, finalizzato a preparare un piano di difesa anti-zombie. Le mie figlie, ahimè, sono affascinate dalle saghe sui vampiri che, partite con Twiligth, sembrano non cessare di riprodursi in forma di romanzi per adolescenti.

Forse è per anche per questo che non mi sono stupita quando ho ricevuto un invito per l’inaugurazione di   una nuova scultura permanente, collocata in una delle più grandi piazze di Ginevra: Plainpalais. Titolo della scultura. Frankie a.k.a The creature of Doctor Frankenstein. L’opera in bronzo è realizzata dal gruppo Klat (un collettivo di tre artisti fondato a Ginevra nel 1997).

All’’attenzione delle nuove generazioni per i temi dark e gotici, si deve aggiungere che a Ginevra è legata in modo particolare a Frankenstein dal momento che la storia fu scritta da Mary Shelley durante un suo soggiorno in questa città.

Klat, Frankestein, Geneva 2014
Klat, Frankie a.k.a The creature of Doctor Frankestein, Geneva 2014

L’inaugurazione è stata all’altezza dell’horror contenuto nella storia originale. Verso le nove di sera, con contorno di una musica appropriata, è stata svelata la scultura del mostro, subito colpita da una ripetuta scarica elettrica. Grazie a due trasformatori ad alta tensione sono riusciti a creare dei fulmini che sono  piaciuti molto a tutti i presenti. I fulmini si intrecciavano tra loro e colpivano l’opera dando vita alla scultura.

La moda e la cultura cinetelevisiva in cui tutti siamo immersi ha fatto da cornice a tutta la serata, perché come scrisse David Foster Wallace: “La cultura pop è la rappresentazione simbolica in cui la gente già crede”. Basta pensare al piano del Pentagono per sincerarsene.

Ma proporre per arte ciò in cui la gente già crede è mistificante, non è arte, è divertimento facile in cui ci si trova a nostro agio. Invece l’arte è qualcos’altro: uno stimolo al dubbio e alla rimessa in discussione, un invito a vedere in modo diverso le cose del mondo.

Comunque da oggi una nuova “opera pubblica” è installata a Ginevra .

 

Chiacchiere del Lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Sul blog del Corriere della Sera, la 27°ora, il 17 maggio è apparso un post inquietante intitolato, Donne che amano l’alcol, che ha una tragica assonanza, sicuramente voluta, con il titolo italiano del thriller svedese di Stieg Larsson Uomini che odiano le donne. 

Infatti non solo ci troviamo a fare i conti con mariti o fidanzati violenti, con stalker e con ogni forma di usurpazione provenga dall’esterno, ma riusciamo anche a farci male da sole. È un grido di allarme. I dati americani riportano che il 55% di donne negli Stati Uniti beve regolarmente (il 40% in più nel giro di 10 anni) e le italiane, sebbene le percentuali siano inferiori a quelle americane, cadono sempre più spesso in ciò che viene definita “droga d’accesso”, facile, troppo facile da trovare in qualsiasi punto di ritrovo sociale.

Le modalità sono diverse i risultati uguali. Vino, birra all’inizio, superalcolici per finire. Il fenomeno non riguarda particolari ceti o fasce di età, ma è profondamente radicato in tutta la società femminile italiana. Tutte siamo a rischio per la conformazione fisica che ci rende particolarmente vulnerabili all’alcool che, contrariamente ai maschi, assorbiamo molto più facilmente e non metabolizziamo abbastanza.

Il primo bicchiere, secondo i dati ISTAT, addirittura a 11 anni, poi l’adesione a modelli comportamentali che solo fino al secolo scorso erano chiara prerogativa del mondo maschile e adottati per lo più come forma di emancipazione.

Una vera e propria trappola l’alcool. Se moltissime donne non si rendono conto di scivolare lentamente verso la dipendenza, altre, soprattutto fra le più giovani, praticano almeno un paio di volte al mese il cosiddetto binge drinking, cioè bere con il preciso scopo di ubriacarsi.

Che si chiami emancipazione, inadeguatezza, solitudine o semplicemente leggerezza, l’alcolismo prende quota fra le donne e non si può fare altro che mettere in guardia le nuove generazioni, quelle più a rischio dei pericoli che stanno correndo. Cosa c’é di bello nel bere allo sfinimento, cosa c’è di bello in una serata che si dimentica completamente a furia di bicchieri buttati giù, è l’oblio che cerchiamo o il desiderio di divertirsi e stare insieme?