Oggi diamo spazio ad un amico impegnato in Costa d’Avorio, il suo messaggio è duro, uno sfogo, mosso dal desiderio di raccontare la sua esperienza. La foto che abbiamo scelto per il testo sono opere dell’artista polacca Magdalena Abakanowicz e sono state scelte da noi.
Tempo fa, entrando all’ospedale regionale distante 30 km da dove vivo e lavoro (cioè un centro sanitario in Costa d’Avorio creato da una Fondazione italiana di cui sono il supervisore) un infermiere, tra le risate generali, chiamandomi per nome , mi chiese “cerchi i tuoi bambini?”.
È passato un anno e più forse dall’episodio, ma la cosa non esce dalla mia testa, e continua a farmi schifo! Si, cercavo i “miei bambini”. O meglio, cercavo sangue per trasfusioni per uno dei “miei” bambini del centro. La diagnosi è sempre la stessa: malaria, quindi anemia, quindi la trasfusione è necessaria, bisogna cercare sangue. A volte è semplice, altre no, altre volte non si trova, e finisce li…
Questo ridere di un africano dei suoi figli morenti o il nostro ridere delle sofferenze degli altri è una cosa che ci unisce nella nostra comune appartenenza alla razza umana, e non aiuta.
Mentre vedo i miei colleghi neri al centro sanitario che gestisco prodigarsi, ben oltre i loro turni di lavoro spesso, per assistere malati o cercare di parlare con le famiglie per praticare un minimo di prevenzione, mi sento attorniato da vere e proprie bestie, come un anno fa all’entrata dell’ospedale pubblico regionale.
Quali, quanti e fino a dove possono essere i danni delle nostre mentalità distorte? Un mafioso, un delinquente diventano tali solo perché nascono in un contesto di povertà o è colpa della famiglia di appartenenza, o della società in cui vivono o…?
E quando al centro arrivano bambini di 2 anni che pesano solo 6 kg (nella regione in cui vivo e lavoro in Costa d’Avorio, al confine col Ghana, le soluzioni per mangiare ci sono eccome, quindi non si tratta solo di povertà) riuscirò a farmi ascoltare dai genitori?
Su queste verità, basate su comportamenti oggettivi, si creano opinioni.
Ma voglio fare un salto indietro, a quando ero bambino nei primi anni ottanta in Italia. Mi ricordo di quando mi dicevano del povero nero che è sempre l’ultimo della fila a prendere la mela (c’era un manifesto così a scuola e il pensiero mi porta subito all’infermiere che ride dei miei bambini) e della mafia che non esiste (lo disse una volta un’autorità in pubblico in tv, mi ricordo). Anche da queste opinioni, si creano mentalità. Ho allora l’impressione che qualcuno stia “giocando” col nostro fegato.
Come possiamo proteggerci dalle miserie della nostra razza, e dai miserabili che le fanno vivere, per soldi, potere o entrambi, ogni giorno? (lasciamo stare i massimi sistemi,per carità).
Sarà la bellezza a salvarci o quella famosa risata li seppellirà?
Io, intanto, continuerò a cercare sangue…


