Perché il “cattivo” ci attira…

House-of-Cards-Parlare di una serie televisiva mi da l’occasione di introdurre un argomento difficile da approcciare. Parlare infatti di House of Cards, mi offre la possibilità di discorrere del “fascino perverso del male”. Le vicende di Frank Underwood – nella serie in cui uno splendido Kevin Spacey, un po’ imbolsito e con i capelli imbiancati dall’età, fa la parte di un presidente americano senza scrupoli, né morale – sono paradigmatiche di quanto ognuno di noi possa essere attirato “dal lato oscuro della forza” (come conferma la saga di Star Wars).

Ebbene è incredibile quanto le morbose vicende del protagonista della serie ci inducano a fare il tifo per un personaggio abietto e senza scrupoli, che agisce solo per ottenere potere personale e prestigio, calpestando diritti e legge. Il male, tuttavia, nella sua rappresentazione, svolge un compito importante, poiché assicura allo spettatore la libertà di prendere le distanze da chi compie azioni riprovevoli e ciò lo aiuta a renderlo diverso ma soprattutto migliore del “cattivo”.
Il male “attrae” in quanto rappresenta la trasgressione, la rottura intenzionale di divieti su cui si fonda la società civile.

Lo spettatore mette in atto un meccanismo istintivo e inconscio che lo porta ad ottenere ogni informazione che gli consenta un possibile coinvolgimento.
Le domande che ci si pone davanti alla rappresentazione di un evento drammatico sul senso della vita e della morte, sulla presenza del dolore, della colpa e del male in generale ci danno anche l’illusione di poter tenere questi sentimenti lontani da noi, sublimandoli, ricacciandoli nell’oscurità cui appartengono.

Questa è la ragione di serie di successo quali Gomorra, Breaking bad, House of cards, che ci catapultano in vicende riprovevoli dandoci la possibilità di “viverle” come attraverso un cannocchiale al contrario, che le sposta lontane da noi.