
Il tema è già stato affrontato, una volta, la scorsa settimana ma continuo a pensare che dobbiamo riprenderlo, perché qualcosa non va. Si fa una grande fatica ad accettare la diversità. Faccio un esempio, ho un’amica che lotta in Italia per l’inclusione a scuola dei ragazzi con disabilità, mi dice che la legge c’è ma è piena di lacune e rimane misconosciuta ai più, così molte famiglie non vengono sostenute a sufficienza. Eppure, mi scrive, stare con chi è diverso da noi, per etnia, caratteristiche fisiche, psichiche o altro è una ricchezza e un valore da salvaguardare.
Pensiamo ai nostri ragazzi sono abituati ad essere accontentati nella richiesta continua della felicità e non imparano mai che quello che a loro sembra poco per un altro costa uno sforzo enorme.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel mondo ci sono 650 milioni di persone colpite da disabilità ed è impensabile e assurdo che queste devono restare fuori da nostro vivere quotidiano.
E’ una questione di sensibilità, un disabile conosce le cose con altri occhi e percepisce il mondo in modo diverso . A questo riguardo mi è venuta in mente l’ opera dell’artista inglese Susan Austin.

Susan Austin è paraplegica, si è fatta costruire, contro tutte le leggi della fisica e contro tutti i pareri degli esperti, una sedia a rotelle che le consente di andare sott’acqua e con il corpo realizzare delle performance subacquee. La performance è un linguaggio artistico che fa uso del corpo dell’artista ed esplora le possibilità e i limiti del corpo. Nelle opere di Susan Austin non si gioca sul concetto di disabilità intesa come frustrazione ma la sua esperienza artistica è tesa a fare emergere un’energia vitale che si trasforma in gioia e libertà perché come lei stessa ha detto “per me la sedi a a rotelle diventa un mezzo di trasformazione (…) che mi ha spinta oltre dentro un nuovo modo di essere, in una nuova dimensione e in un nuovo livello di consapevolezza”.

Davvero vogliamo tenere lontano i nostri bambini e noi stessi lontani da questi incontri?