Lookism e anti-lookism

lookismUn tempo, forse per consolarsi, si diceva che la bellezza sta negli occhi di chi la guarda. Oggi sembra proprio che le cose non stiano più così.
Nella società dell’apparire piuttosto che dell’essere “la Bellezza” è una categoria universale. Ecco ad esempio, perché i commessi della catena di negozi di una nota marca americana sembrano usciti dalle pagine patinate di Vogue oppure un famoso bar parigino fa accomodare i clienti meno attraenti nei tavoli lontani dalle vetrine.
L’economista americano Daniel Hamermesh ha addirittura scritto un saggio intitolato La bellezza paga, in cui enumera tutti i vantaggi dell’avere un aspetto piacevole. Fra gli altri benefici i “belli”, negli Stati Uniti, ottengono degli indubbi vantaggi economici vengono, insomma, pagati di più. Questo modo di vedere le cose ha, nei paesi anglosassoni, anche un nome: lookism. Avere un bell’aspetto dunque è la chiave del successo. Cosa rimane a noi che non siamo proprio bellissimi? Beh, i “movimenti di contrasto” (anti-lookism) che rivendicano i diritti dei “bruttini”, sebbene uno studio suggerisca che in realtà proprio nessuno ha apertamente il coraggio di affrontare le discriminazioni subite a causa del poco attraente aspetto fisico, insomma nessuno si vuole auto proclamare brutto…
Messaggi di speranza per i brutti non se ne intravedono, almeno a breve. Persino il Dalai Lama ha affermato in una recente intervista (e non scherzava) che considera possibile che in futuro sia una donna a prendere il suo posto, solo a patto però che sia “estremamente attraente”!