Urgenze per l’arte

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Ci sono due notizie che uniscono le competenze dell’arte alle urgenze del nostro tempo e che mi hanno dato fiducia e speranza in questi giorni. La prima riguarda l’avvio dei lavori per il nuovo ospedale di Emergency, avvenuto la settimana scorsa in Uganda: a Gino Strada stavolta si è unito Renzo Piano. Si, sarà proprio il grande architetto italiano a progettare  quello che diventerà un centro di eccellenza in chirurgia pediatrica sul Lago Vittoria non lontano dalla capitale Kampala.imgres

La seconda notizia invece è un progetto più piccolo che viene dal mondo dell’arte. Il collettivo AMP Art, infatti, che lavora nel connettere architettura, antropologia e attivismo, ha dato vita a un progetto, in Inghilterra, dal titolo OVA INE: Refuge/e . Il progetto ruota attorno a una tenda per rifugiati, che arriva direttamente dal Libano, costruita usando una combinazione di materiali poveri locali come il gesso e vecchi pannelli pubblicitari di plastica.8343020-13071243

Questa tenda viaggerà per tutta l’Inghilterra e sarà uno spazio pubblico dove si potranno ascoltare le storie (registrate) di tanti rifugiati. Frammenti della loro vita e delle lotte quotidiane per la sopravvivenza. Un modo per cercare di comprendere una  condizione di vita lontanissima dalla nostra esperienza. La tenda sarà inizialmente ospitata dallo Yorkshire Sculture Park nel periodo 16-26 marzo.

  

“Fiori metallici dell’infinita infamia umana…” (M. Ovadia)

MK.ASI.118Il 4 aprile è la Giornata Internazionale di sensibilizzazione al problema delle Mine e dell’assistenza alla lotta anti-mina, evento riconosciuto e promosso dalle Nazioni Unite.

Le statistiche parlano di un morto a causa delle mine antiuomo ogni trenta minuti, in quei paesi, e sono ben 62, in cui esse sono o sono state usate. La maggioranza delle vittime sono civili, soprattutto bambini e donne. Il problema è vastissimo, si calcola che per sminare l’Afghanistan, tenendo i ritmi fino a qui usati, ci vorrebbero 2400 anni!

Se scorriamo velocemente i puri dati ci rendiamo conto della complessità della situazione: le mine antiuomo posate e inesplose nel mondo ammontano ad oltre 100 milioni, ancora oggi sono 15.000 le persone mutilate o uccise ogni anno, il costo medio di una mina è assurdamente basso (poche decine di euro), il costo medio per disattivarle con professionisti, cani addestrati, mezzi tecnologici ecc. è attualmente di oltre 5000 euro a ordigno. Si calcola che nel mondo esistano ancora 160 milioni di mine antiuomo che fanno parte dell’arsenale bellico dei paesi che non hanno firmato il Trattato di Ottawa – la Convenzione sul divieto d’impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione, entrato in vigore nel 1999 e purtroppo non ratificato da tutte le nazioni – e non sono state distrutte (stima del 2012).

“La mina antiuomo è un’arma semplice, tecnologicamente elementare e molto economica, essa viene studiata per ferire, mutilare o uccidere indiscriminatamente chiunque ne causi la detonazione e tutte le altre persone che si trovano in prossimità. Una volta posata sul terreno rimane attiva per decenni” (tratto dal sito Stopmine.it) per combattere chissà quale nemico immaginario.

E almeno le mine uccidessero in modo pulito o, come si diceva un tempo, “chirurgico”! invece no, “lacerano, accecano, sbrindellano, cancellano parti di vita, creano voragini di antimateria, progettano il non-uomo” (M. Ovadia, Prefazione al libro di G. Strada, Pappagalli verdi, Cronache di un chirurgo di guerra, Feltrinelli, Milano 1999, p.8). Tutto ciò in barba agli sforzi di migliaia di persone impegnate in prima linea in questa assurda battaglia.

Quest’anno poi la giornata è consacrata al ruolo importantissimo che giocano le donne anche nella soluzione di questo tragico problema. Sono le donne infatti che negli scenari di guerra e degenerazione mostrano come proteggersi, aiutano le vittime e partecipano allo sminamento.

Ma ancora oggi 14 paesi (Usa, Cuba, Russia, Egitto, Iran, Iraq, Burma, Cina, India, Corea del Nord e del Sud, Pakistan, Singapore e Vietnam) continuano a rifornire gli arsenali dei signori della guerra.