L’arte della fuga

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Gunnar Widforss

Sono cresciuta con la convinzione che chi amava l’arte contemporanea fosse mio amico e chi la disprezzava mio nemico. E’ dunque una novità che lo scrittore, etnologo e collezionista svedese Fredrik Sjöberg mi abbia affascinato e stregato con la sua ultima storia: L’arte della fuga, pubblicato in Italia da Iperborea. Il fatto è che questo scrittore non ama l’arte contemporanea e lo esprime chiaramente nel romanzo.

Ma andiamo per ordine. L’autore del celebre, anche in Italia, Il collezionista di mosche, (ne abbiamo parlato il 11 gennaio 2017) racconta in questo libro la vita di un pittore svedese, Gunnar Widforss ( 1879-1934), diventato famoso in America per i suoi larghi paesaggi ripresi dagli scenari dei parchi nazionali. Secondo il suo stile, Fredrik Sjöberg si dedica alla vita del pittore affrontandola da angolazioni diverse, ma anche lasciandosi a divagazioni di varia natura e spesso inserendo spunti autobiografici nella vicenda narrata. La trama diventa cosi’ un labirinto ed è facile sentirsi trasportati e un po’ persi in questo territorio assai ampio.download

Ma il nocciolo è che Gunnar Widforss, è un pittore di paesaggi naturalistici, conosciuto per i suoi acquarelli, “maestro indiscusso della pittura di pini” , e quindi è ben lontano dai linguaggi dell’avanguardia. E proprio da questo il nostro scrittore non manca di prendere spunto per ironizzare sull’arte moderna. “Mi sembra un peccato che la bellezza, ancora viva nella letteratura e nella musica, sia stata bollata come antiquata nell’arte figurativa approvata dall’Accademia(….) ne rimango stupido ma in fondo tollerante” (p.69) . Ma si spinge anche più in là: l’arte formalmente bella e rassicurante dei paesaggi del suo pittore dimenticato, sembra rafforzarlo in un rifiuto radicale dei linguaggi espressivi contemporanei. “Non sono d’accordo con l’opinione assai diffusa secondo cui i perforare e gli autori di installazioni del giorno d’oggi sarebbero incomprensibili. Raramente , nel corso degli ultimi cento anni , l’arte è stata più comprensibile di oggi. Critica sociale trasgressiva, provocazione (…) anche un bambino può capire quale è l’obiettivo , tanto più che le vaghe concezioni  filosofiche sono di quel genere che, a ragione, viene ormai chiamata filosofia da bar. Pura e semplice uffa.” (p.70)

Curiosa questa sua posizione, tanto polemica con l’arte contemporanea, anche perché lui è suo malgrado finito nel circuito dell’arte contemporanea: la sua collezione di mosche, infatti, i sirfidi, è stata esposta alla biennale di Venezia del 2009.

Questo sì che è viaggiare

Robert Morris, Labinto, 1982
Robert Morris, Labinto, 1982

Vi sono luoghi che fanno parte del nostro immaginario, perché sin da piccoli li abbiamo sentiti rammentare in leggende e storie di ogni tipo. Non li abbiamo mai visitati perché non esistono, ma sono così parte della nostra geografia mentale da poterli agevolmente descrivere, o comunque da farci sobbalzare sulla sedia se, leggendo qualcosa, troviamo una parola su di essi.

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Quali sono? Presto detto. I luoghi mitici, come Atlantide, Iperborea o l’ultima Thule; quelli legati alle religioni (il paradiso terrestre o i luoghi della bibbia che, pur essendo reali, assumono contorni diversi e trasfigurati dalla fede); i luoghi da favola (come il paese di cuccagna). E ve ne sono molti altri. Ne parla un bel libro di Umberto Eco: Storia delle terre e dei luoghi leggendari. In comune hanno l’appartenenza a quel pianeta invisibile che si trova nelle varie credenze dell’umanità, non disgiunta da una fervidissima fantasia, spesso totalmente slegata dalla realtà. Basti pensare al ciclo del Graal e a tutti i luoghi in esso coinvolti (ci si trova di tutto: una volta ho letto che anche uno dei castelli di Sion, in Vallese, non lontano da casa mia, è legato a questo mito). Oppure si possono ricordare le balzanerie di coloro che nelle piramidi leggevano conoscenze matematiche a carattere più esoterico che scientifico.

Insomma, cose  a metà fra un romanzo di fantascienza e un’allucinata follia. Ma divertentissime. Già, questo di Eco è un libro piacevolissimo, da scorrere e da leggere a tratti, perché ogni capitolo ci parla di come sia nata una di queste leggende (e quindi anche dei luoghi ad essa associati) e poi fornisce una breve antologia di scritti che l’hanno menzionata nel corso dei secoli.

Mi sono divertita tantissimo a leggere queste storie e a ritrovarvi molti riferimenti a film e romanzi che, pur dichiarandosi nuovi, le hanno saccheggiate senza pietà (basti pensare al “Codice da Vinci”, basato su una rilettura semplificata della leggenda del Graal, o a certi film di fantascienza che copiano i romanzi di Karel Capek, uno scrittore vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento); anche se spesso l’hanno fatto senza la capacità di raccontare una storia altrettanto bella.

Grazie a Umberto Eco che ci fa divertire con leggerezza e con intelligenza.

Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Bompiani

La casa della moschea di Kader Abdolah

Provo un piacere: quando con il treno mi fermo a Milano, per proseguire il viaggio fino a Ginevra (o viceversa per portarmi a Pistoia),  ne approfitto per andare alla libreria delle Messaggerie, vicino alla stazione, dove passo sempre un po’ di tempo in cerca di qualcosa da leggere nel viaggio. E’ lì, nello scaffale dedicato ai suggerimenti della libreria, che ho scoperto uno dei miei libri preferiti, sicuramente uno di migliori che abbia letto in questi ultimi anni:  il romanzo di Romain Gary, La vita davanti a séun libro assolutamente da leggere, che l’autore pubblicò nel 1975 e che gli valse il Prix Goncourt. Non gli sarò abbastanza grata alla libreria per avermelo fatto scoprire. Poco tempo fa mi sono di nuovo lasciata convincere da un loro suggerimento e ho scelto il libro di un autore iraniano, Kader Abdolah, che si intitola La casa della moschea (Iperborea ed).

Mi incuriosiva cosa scriveva  l’autore nella prefazione: “ho scritto questo libro per l’Europa. Ho scostato il velo per mostrare l’Islam come modo di vivere…un Islam moderato, domestico, non quello radicale”.  L’ho letto tutto d’un fiato e, come spesso succede, mi sono ritrovata dentro le atmosfere di questa famiglia persiana che vive nella casa della moschea e vede passare negli anni il regime dello scia, l’arrivo di Khomeini e tutto ciò che ne è seguito. Mi sono affezionata al patriarca di quella famiglia,  Aga Jan, “un autentico figlio della casa della moschea” che ha il ruolo di custode della storia; un uomo saggio che sa capire e attendere il passaggio degli avvenimenti più drammatici, rimanendo  sempre saldo sulle sue radici. Infine il libro  mi è ancor più piaciuto perché l’autore è un rifugiato politico (vive in Olanda dal 1988), perseguitato prima dallo scia e poi dal regime di Khomeini. Si capisce che si sente un uomo in transito e che con la scrittura cerca di raccontare da lontano la storia della sua terra, vedendo le vicende storiche  dell’Iran attraverso il racconto quotidiano di una famiglia.

Assolutamente da leggere, se davvero vogliamo cercare di comprendere meglio l’Islam e la sua cultura.