Precarietà

Pietro Manzoni
Pietro Manzoni, Corpo d’aria, 1960

Incertezza, instabilità.
La precarietà non è una parola antica, appare nella lingua scritta attorno alla metà del XIX secolo. Secondo me non è un caso che l’arte la faccia sua quasi da subito, cominciando con le avanguardie per poi continuare a rifletterci e a girarci attorno per più di un secolo. E’ sulla base di questa riflessione sulla precarietà che si sviluppano tecniche non tradizionali e che le opere d’arte del secolo appena trascorso non sono più concepite per durare ma divengono deperibili, lasciando a noi il peso della responsabilità di decidere come e se sia giusto restaurarle (penso, ad esempio, all’opera di Pietro Manzoni Corpo d’aria, del 1960, composta da un palloncino gonfiato col fiato dell’artista).
Il bambino, quando viene al mondo, non ama la precarietà. Chi ha esperienza di bambini sa che essi amano in maniera naturale, direi spontanea, le certezze e la ripetitività dei gesti. Amano la chiarezza e cercano tutto ciò che è certo, sicuro e indubitabile. A proposito di questo, sono rimasta sconcertata di come oggi, anche quando ci si rivolge ai piccoli, si passino messaggi incentrati sull’incertezza e sul dubbio. Vi faccio due esempi lampo, tratti da due film. Il primo è Frozen di Walt Disney in cui una ragazzina innamorata di un giovane principe scopre che in realtà quest’ultimo è un mascalzone il secondo è il film Maleficent, dove addirittura la principessa si deve ricredere sull’affetto del padre, quando scopre che è un poco di buono e che invece l’unica a volerle bene è sempre stata la strega. Niente sicurezze assodate: tutto da rivedere.

Brigitte Niedrmair, Let's Get Married,2011
Brigitte Niedrmair, Let’s Get Married,2011

Mi viene di pensare alla precarietà di tutti gli immigrati che cambiano il loro paese per cercare lavoro: i più arrivano in un luogo ma non sanno mai se sarà l’ultima tappa del loro viaggio.
Il precariato sembra essere la condizione sociale delle generazioni future; dovremo farci l’abitudine, adeguandoci all’instabilità lavorativa. Niente potrà rimanere fermo, dovremo sempre essere pronti a recepire le novità. Eppure qualcosa dentro di noi si strappa ogni volta che lasciamo una sicurezza e che ci imbarchiamo verso l’ignoto. In qualche maniera ne è una spia l’ansia che sempre aumenta dentro ciascuno di noi: a me sembra che mai come oggi si cerchi di conciliare questa vertigine dell’essere appeso per un filo, con un naturale e crescente bisogno di stabilità. Più il mondo ci offre la precarietà come stile di vita, più si cerca una continua e durevole esistenza.
Arte è ciò che sopravvive alla materia, scrive Karl Kraus (Jonathan Franzen, Il progetto Kraus, Einaudi, p.179) il nostro spirito sarà l’ultima cosa che sopravvive alle nostre esistenze in continuo cambiamento.

Kassel, un appuntamento estivo per gli appassionati di arte contemporanea

Oggi il blog ospita, lo storico dell’arte Lorenzo Ciprian,i appena rientrato da Kassel.  Lorenzo ha infatti visitato  la grande rassegna che si tiene ogni 4 anni in Germania dedicata all’arte contemporanea . Un appuntamento molto significativo e importante per capire e respirare ciò che gli artisti di tutto i mondo fanno in questo momento.

A lui la parola:

Fridericianum, Kassel, foto di Nils Klinger
Foto di Nils Klinger

Per chi si trova in Germania questa estate e per tutti gli appassionati d’arte è stata inaugurata l’8 giugno la tredicesima edizione di Documenta a Kassel, una delle più grandi rassegne d’arte contemporanea del mondo. Un’edizione all’insegna dell’incertezza e della precarietà, dove si trovano esposti artisti di fama internazionale, ma anche sconosciuti o semplici appassionati, perché “La cosa migliore che l’arte può fare è non dare certezza ma incertezza e porre domande – deve porre dei dubbi vertiginosi su cosa in effetti l’arte può essere.”, stando alle parole della curatrice Carolyn Christov-Bakargiev.

I temi principali della mostra sono quelli delle difficoltà che la nostra società sta attraversando in un momento di crisi, non solo economica, ma anche culturale e di valori. Un momento di svolta che l’arte di oggi vede attraverso una lente spesso deformata, difficile da comprendere, ma talvolta estremamente lucida e potremo dire per certi versi profetica. La speranza nelle tecnologie è uno degli elementi chiave di questa svolta, soprattutto per quegli artisti che lavorano con le neuroscienze o con le scienze sociali, legate alla globalizzazione. Un altro punto che pare evidente è il tema della distruzione e della ricostruzione dopo le guerre che si sono accese in questi ultimi anni. La rassegna si compone di altri tre luoghi di esposizione – Kabul, il Cairo e il Banff National Park in Canada – con i quali intesse una rete di relazioni con opere ed artisti provenienti da questi luoghi o che trattano tematiche legate ad essi.

L’arte italiana è in prima fila con una nutrita partecipazione di artisti – la curatrice italo-americana tra le altre cose ha diretto in passata il museo di Arte Contemporanea di Torino –, a cominciare da quello che viene chiamato il “cervello” della mostra, ovvero la Rotunda del Fridericianum, dove si possono ammirare alcuni dipinti di Morandi accompagnati dagli oggetti originali che furono i modelli per i dipinti realizzati dall’artista dopo la seconda guerra mondiale. Giuseppe Penone è presente con un grande lavoro “ambientale” nel Karlsaue Park di Kassel, ma anche nella succursale di Kabul. Un grande omaggio è dedicato ad Alighiero Boetti ed una sala intera è allestita con i lavori concettuali di Fabio Mauri. Inoltre sono presenti opere di Francesco Matarrese, Rossella Biscotti, Massimo Bartolini e Chiara Fumai.

Un lavoro da non perdere? Sicuramente quello del canadese Geoffrey Farmer nella Neue Gallery: un’enorme collage tridimensionale realizzato con ritagli tratti dalla rivista Life che ci conduce in un viaggio retrospettivo nella nostra storia e nella nostra cultura popolare, uno spaccato del ventre della nostra società.