The Martian, libro o film?

the-martian-banner“Sono spacciato di brutto. Questa è la mia ponderata valutazione.
Spacciato.
Sono passati solo sei giorni dall’inizio di quelli che sarebbero dovuti essere i più gloriosi due mesi della mia vita e sono finito in un incubo”.
Così inizia L’uomo di Marte, il libro di Andy Weir (Newton Compton, 2014), che, nato come un’auto pubblicazione, grazie al passaparola si è guadagnato gli allori di Hollywood con la produzione di un film con un cast stellare, girato da Ridley Scott. L’autore, ingegnere informatico, appassionato di ingegneria aerospaziale, fisica relativistica, meccanica orbitale e storia dell’esplorazione spaziale, ci presenta un quadro credibile di un’avventura impossibile.
Siamo nella fantascienza classica. Un uomo disperso, per una serie di eventi sfortunati, sulla superficie marziana, combatte per rimanere in vita a dispetto di tutti gli imprevisti e le difficoltà che ciò comporta. Un eroe moderno che non si perde facilmente d’animo, dotato di una fine ironia e non del tutto politicamente corretto, la cui ricompensa finale sarà la salvezza. E non credo di aver rovinato il finale a nessuno, anche perché il film tratto da questo libro, nelle sale in questo periodo, si intitola in italiano proprio Sopravvissuto.

Per chi, come me è cresciuto con i libri della collana Urania ed è appassionato di fantascienza, la domanda è sempre la stessa
Meglio iniziare dal libro o meglio iniziare dal film? È nato prima l’uovo o la gallina?

Non esiste una risposta univoca. Intanto il libro è godibilissimo, anche se le parti strettamente scientifiche, profondamente dettagliate (l’autore si sforza di creare per il suo personaggio, situazioni al limite delle capacità umane, che il bravo astronauta dipana con buon senso e molto molto studio) provano non poco il lettore. Quello che posso dire è che il film lo vedrò e proverò a confrontare i miei “effetti speciali” con quelli proposti da Ridley Scott… chissà chi vincerà la sfida!

Spero che nel film risuonino le ultime parole che il coraggioso “marziano” pronuncia alla fine del libro per spiegare il suo salvataggio: “ogni essere umano possiede l’istinto innato di aiutare il suo prossimo. Certe volte può non sembrare che sia così, ma è vero”, e noi ci vogliamo credere!

Sopravvissuto-–-The-Martian-

Fantasie malate o spunti per il futuro?

babeldomThe Guardian quotidiano britannico di lunghissima storia con una tiratura giornaliera di oltre 400.000 copie, ponendosi una domanda sull’utopia delle città ideali ha deciso di creare un sito, che si offre come forum globale per il dibattito e la condivisione di idee sul futuro delle città. Il problema della loro crescita sconsiderata, le preoccupazioni legate al traffico e alla mobilità, all’inquinamento e alla sostenibilità delle risorse energetiche si impone come la nuova sfida del futuro.

Proprio su questo sito che offre una panoramica globale, e cerca risposte alle problematiche della nuova urbanistica, ho trovato una deliziosa lista di 10 ipotetiche città del futuro, come vengono presentate in film di fantascienza famosi.

Al primo posto non poteva mancare Metropolis di Fritz Lang, in cui la città è il vero e proprio modello per ogni visione urbana futurista. Grattacieli collegati da autostrade e ferrovie sospese, perfetta per le élites che possono concedersi di vivere in questi sfavillanti edifici, un inferno per i lavoratori costretti a estenuanti turni di lavoro a ground zero.

Segue 1999, Fuga da New York di John Carpenter, in cui la città del futuro è un incubo decadente e fatiscente, abbandonata dalle autorità, lasciata al proprio destino, in cui si muove una varia umanità fatta di banditi e delinquenti. Insomma tutto ciò che non vorremmo mai vedere accadere alle nostre città nel futuro.

La fuga di Logan, di Michael Anderson, tratto da un capolavoro della fantascienza di William F. Nolan e George Clayton Johnson, è un vero e proprio cult movie anni ’70 giocato fra sociologia, allegoria e fantascienza, in cui la vita si svolge in una città racchiusa in una cupola bioecologicamente equilibrata che appare sulle prime un paradiso, ma che nasconde u terribile segreto: non vi si possono superare i 30 anni di vita. L’utopia post atomica infatti si paga a caro prezzo, tutto, compreso i corpi degli abitanti, viene riciclato senza scampo.

Al quarto posto non poteva mancare la città di Blade runner, una Los Angeles che nel 1982 Ridley Scott ambientava nell’allora lontano 2019 e che dipingeva fosca e piovosa, popolata da replicanti umani alla ricerca di un’anima.

Troviamo poi Alphaville, di Jean Luc Godard una triste città posta su un pianeta lontano, in cui vive un’umanità repressa da una sorta di Grande Fratello orwelliano. Girato a Parigi ne è una fosca copia gemella.

Adattamento di un libro di fantascienza del britannico H.G. Wells, La vita futura del 1936, è stata la più costosa produzione fantascientifica britannica degli anni ’30. La città che viene rappresentata Everytown è stata devastata dalla guerra ed è una trappola mortale per tutti i suoi abitanti.

Si trova al settimo posto la Tokio di un improbabile 2019, città robot che costruisce se stessa, organismo quasi senziente nel film del 1988 Akira del giapponese Katsuhiro Otomo.

La città in cui viene risvegliato Il dormiglione di Woody Allen del 1973, non è un luogo disdicevole, ricorda ancora molto il Greenwich Village di oggi con in più buoni trasporti pubblici. Tutti hanno subito un lavaggio mentale per rimanere tranquilli al proprio posto.

La città di Minority Report di Steven Spielberg del 2002 è la Washington del 2054. Noir, disorientante, simile in molti aspetti ad una città attuale, ma nella quale i “controllori” assicurano tranquillità a scapito della serenità dei cittadini, i quali insieme alla città vivono un malessere spirituale.

Ultimo della lista è Babeldom del 2013, di Paul Bush, “un’affascinante meditazione sulle città del futuro” come il Guardian stesso ha affermato. Qui la città è una complessa visione architettonica in egual parte bellissima e terrificante: una elegia alla vita urbana, il ritratto di una città del futuro, costituito da immagini in movimento raccolte dalla scienza, dalla tecnologia, dall’industria e dall’architettura.