L’arte contemporanea cerca la danza?

William Forsythe
lavoro di William Forsythe

L’arte contemporanea cerca di nuovo forme di unione con la danza. E’ nell’aria già da un po’ di tempo. Ma non si tratta di qualcosa di inedito. In generale, il desiderio di trovare punti di contatto tra le diverse discipline artistiche, è un fenomeno che vede la luce all’inizio del secolo scorso. Se pensiamo all’universo futurista, ad esempio, abbiamo un insieme di artisti che esploravano a tutto campo e impegnandosi quindi non solo in pittura e in scultura, ma anche nella performance, nell’architettura , nella letteratura. Le performance come le conosciamo oggi sono maturate con il tempo da ricerche provenienti da campi diversi. Uno di questi fu il connubio, creatosi negli anni Venti, tra arte e teatro in Russia: penso alle sperimentazioni compiute da artisti come Vladimir Tatlin che hanno fondato le basi per molta perfomance moderna.

Tornando alla danza e all’arte, il pensiero corre immediatamente ai Balletti russi e all’eperienza di Sergei Diaghilev a Parigi.

Nel 1950 Merce Cunningham rivoluzionò la danza portando i gesti di ogni giorno in teatro. Lavorando con ballerini come Tisha Brown, parteciparono a questi esperimenti artisti come Robert Morris e Robert Rauschenberg, assieme al rivoluzionario compositore John Cage.

Merce Cunningham e Robert Rauschemberg
coreografia Merce Cunningham  costumi Robert Rauschemberg

Oggi, come vi dicevo, molti artisti guardano con rinnovato interesse alla danza, lavorano con i coreografi e creano nuove forme d’arte. Il mio primo incontro con queste interazioni fra danza e arte lo ebbi in Toscana, tanti anni fa, grazie al coreografo Virgilio Sieni che aveva portato in scena l’opera e l’umanità dell’artista Sandra Tomboloni.

Tornando ai nostri giorni, o quasi, un anno fa ho visto l’opera dell’artista Pablo Bronstein al Cento per l’arte contemporanea di Ginevra, dove si trovavano messi in scena alcuni ballerini classici, proponendo gesti disarticolati in un’armonia precaria e sullo sfondo di architetture classiche. Ancora qualcosa di simile l’ho poi ritrovato, questo settembre, in una perfomance live (intitolata From A to B via C) di una giovane artista svizzera, Alexandra Bachzetsis, sempre a Ginevra: tre ballerini ballano in una sala con i muri coperti di specchi, comunicando tra loro attraverso i gesti del balletto.

Come vi avevamo già anticipato ieri, in questi giorni a Londra c’è Frieze, l’evento a cui tutti guardano per capire qualcosa di piu’ sull’arte contemporanea e per farci anche qualche speculazione sopra. Non è un caso che la danza abbia uno spazio importante nella manifestazione: è presente in una nuova sezione chiamata Live. Vi si trova una galleria (Choreographic ServiceNo2), creata da Adam Linder a Berlino, che tratta proprio il balletto. Per l’occasione Linder presenterà due danzatori e uno scrittore che lavoreranno assieme per la performance Real Time Choreographic Artist.

L’artista americano Nick Mauss, invece, creerà ogni giorno performance diverse dedicate tutte al balletto neoclassico, assieme al coreografo Kenneth Tindall.

E infine vi è da segnalare l’impegno artistico, in teatro, del coreografo Jèrome Bel, che in questi giorni assieme al teatro Hora di Zurigo lavora con persone disabili.

Jerome Bel e Hora Theatre
Jerome Bel e Hora Theater

Da non lasciarsi sfuggire dunque questo nuovo ritorno della collaborazione tra arte contemporanea e danza, che senz’altro ci regalerà delle novità interessanti. In fondo, come ha affermato Jèrome Bel, con una frase che ci trova assolutamente d’accordo: “ Pina Bauch e William Forsythe non sono stati meno importanti di Matisse o Pollock”.

Gli artisti si incontrano con i coreografi e usano i ballerini come mezzi per rendere visiva la loro arte, i coreografi entrano nei templi dell’arte incuriositi, ma anche consapevoli di non aver niente da commerciare o da vendere. Dunque in futuro dovremo aspettarci sempre piu’ mescolanze e incontri, per amplificare il nostro universo di immagini e sensazioni legati all’arte.

Questo sì che è viaggiare

Robert Morris, Labinto, 1982
Robert Morris, Labinto, 1982

Vi sono luoghi che fanno parte del nostro immaginario, perché sin da piccoli li abbiamo sentiti rammentare in leggende e storie di ogni tipo. Non li abbiamo mai visitati perché non esistono, ma sono così parte della nostra geografia mentale da poterli agevolmente descrivere, o comunque da farci sobbalzare sulla sedia se, leggendo qualcosa, troviamo una parola su di essi.

imgres

Quali sono? Presto detto. I luoghi mitici, come Atlantide, Iperborea o l’ultima Thule; quelli legati alle religioni (il paradiso terrestre o i luoghi della bibbia che, pur essendo reali, assumono contorni diversi e trasfigurati dalla fede); i luoghi da favola (come il paese di cuccagna). E ve ne sono molti altri. Ne parla un bel libro di Umberto Eco: Storia delle terre e dei luoghi leggendari. In comune hanno l’appartenenza a quel pianeta invisibile che si trova nelle varie credenze dell’umanità, non disgiunta da una fervidissima fantasia, spesso totalmente slegata dalla realtà. Basti pensare al ciclo del Graal e a tutti i luoghi in esso coinvolti (ci si trova di tutto: una volta ho letto che anche uno dei castelli di Sion, in Vallese, non lontano da casa mia, è legato a questo mito). Oppure si possono ricordare le balzanerie di coloro che nelle piramidi leggevano conoscenze matematiche a carattere più esoterico che scientifico.

Insomma, cose  a metà fra un romanzo di fantascienza e un’allucinata follia. Ma divertentissime. Già, questo di Eco è un libro piacevolissimo, da scorrere e da leggere a tratti, perché ogni capitolo ci parla di come sia nata una di queste leggende (e quindi anche dei luoghi ad essa associati) e poi fornisce una breve antologia di scritti che l’hanno menzionata nel corso dei secoli.

Mi sono divertita tantissimo a leggere queste storie e a ritrovarvi molti riferimenti a film e romanzi che, pur dichiarandosi nuovi, le hanno saccheggiate senza pietà (basti pensare al “Codice da Vinci”, basato su una rilettura semplificata della leggenda del Graal, o a certi film di fantascienza che copiano i romanzi di Karel Capek, uno scrittore vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento); anche se spesso l’hanno fatto senza la capacità di raccontare una storia altrettanto bella.

Grazie a Umberto Eco che ci fa divertire con leggerezza e con intelligenza.

Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Bompiani