Quando penso “a casa” mi accorgo di farlo in differenti modi: innanzitutto il mio pensiero va sempre ai cari che non vedo da tempo, poi mi capita di pensare a quanto è difficile parcheggiare in centro, a quanto è infinitamente più facile scambiare quattro chiacchiere anche con chi non si conosce, a quanto sono fortunata a non dover patire l’afa soffocante di quei giorni d’estate in cui il cielo si trasforma in una cappa lattiginosa, pensieri che, come le onde, vanno e vengono, e si focalizzano su persone, situazioni, sensazioni, ma raramente mi è capitato di pensare “a casa” provando semplicemente nostalgia per i luoghi, forse perché da dove vengo tutto è uniformemente piatto…
Ho sempre ritenuto, dunque, di non provare nulla per i posti in cui ho vissuto gran parte della mia vita, anzi in fondo di non apprezzarli affatto, ma ho sentito una fitta al cuore rileggendo la premessa de La chimera di Sebastiano Vassalli, intitolata Il nulla, in cui l’autore coglie tratti del paesaggio padano che fanno parte della mia storia: “Soprattutto d’inverno: le montagne scompaiono, il cielo e la pianura diventano un tutto indistinto, l’autostrada non c’è più, non c’è più niente. Nelle mattine d’estate, e nelle sere d’autunno, il nulla è invece una pianura vaporante, con qualche albero qua e là e un’autostrada che affiora dalla nebbia…”.
Un po’ di nostalgia di casa mia, sebbene piena di zanzare e risaie, mi è venuta e ho pensato di scacciarla cucinando una specialità, ma visto che il periodo estivo sconsiglia vivamente la preparazione della “paniscia” (risottone con verze, fagioli e salsiccia) mi sono concentrata su un dessert che ha un’origine medievale e che, poiché confezionato con prodotti costosi ed “esotici” veniva donato nelle grandi ricorrenze religiose: l’antico Dolce della cattedrale. Questo dolce é immensamente calorico, deliziosamente gratificante e soprattutto segretissimo, in quanto la ricetta originale, trovata in un manoscritto dell’Archivio Capitolare della città, è stata depositata presso la Camera di Commercio e appartiene alla Fondazione che l’ha scoperta (incredibile vero?).
Però con pazienza e qualche telefonata, la ricetta è stata ricostruita e il dolce può essere sfornato e gustato anche a casa, a questa ricetta “ricostruita” purtroppo sicuramente mancherà il famoso”ingrediente segreto”, ma assaggiato il risultato posso assicurarvi che non se ne sente la mancanza…
500 g di farina
10 uova
300 g di zucchero
300 g di burro
15 g di lievito vanigliato
scorza grattugiata di mezzo limone
300 g di albicocche secche
100 g di prugne secche
100 g di uva sultanina
una mela a cubetti (o anche una pera)
grappa di nebbiolo (sarebbe meglio, ma va bene anche il rum!)
è necessario mettere la frutta secca a bagno per almeno 24 ore nella grappa.
Dividete i tuorli dagli albumi e montate due bianchi a neve con dello zucchero (potrebbe servirvi dopo). Montate tutti i tuorli con lo zucchero finché diventeranno bianchi e spumosi, aggiungete 250 g di farina, il lievito vanigliato, il burro a temperatura ambiente leggermente montato, la scorza del limone e metà della frutta secca. Impastate energicamente (meglio se con un’impastatrice). Dopo che gli ingredienti si saranno amalgamati aggiungete i resto della farina e della frutta. Se la consistenza dell’impasto vi sembrerà troppo dura aggiungete i due bianchi montati a neve con lo zucchero.
Otterrete un impasto piuttosto consistente, cosa che garantirà alla frutta secca, durante la cottura, di non depositarsi sul fondo della teglia.
Mettete il composto in una teglia (26 cm) con i bordi abbastanza alti (ottime quelle che si aprono) imburrata e infarinata e cuocete lentamente per 30/40 minuti in forno con modalità non ventilato a 180 gradi. Il dolce si dovrà dorare.
Se ci riuscite aspettate 24 ore prima di mangiarlo, spolverizzatelo con zucchero al velo e, se ne avete voglia, servitelo con una crema leggera (deviazione dalla tradizione), sennò inzuppatelo semplicemente nel latte (decisamente nella tradizione). Proverete sicuramente quello che generazioni di fedeli hanno provato nel corso del tempo assaggiando questa specialità, che veniva offerta dai Canonici solo nelle festività importanti per condividere concretamente la gioia dei festeggiamenti.
buono….buono….
La scopro solo ora (24 settembre) e meno male, proprio in tempo per le prime brume, con porcini e tutto… Ma dove diavolo l’hai trovata??? Era segretissima!