Manifesta a Zurigo chiude i battenti

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Padiglione delle riflessioni, Zurigo per Manifesta 11

Tra pochi giorni si chiuderà a Zurigo Manifesta, la Biennale europea di arte contemporanea, tra due anni sarà la volta della città di Palermo.

Questo week end sono stata a visitare Manifesta e con due giornate bellissime di sole sono riuscita a coprire quasi tutte le opere esposte nella città per questa manifestazione. Il titolo di questa edizione è  What People Do for Money. L’idea di Christian Jankowski, curatore-artista di questa edizione, è stata quella di lavorare attorno al tema del lavoro. Il lavoro come perno su cui gira molta della nostra esistenza e come cesellatore spesso della nostra identità sociale. In una carrellata di spunti e riflessioni diverse, la biennale si presenta in più sedi, con tagli e approfondimenti che vanno dai ritratti delle professioni alla promozione del proprio lavoro, all’interazione degli artisti con gli abitanti di Zurigo. Un esempio è l’opera di Franz Erhard Walther che ha disegnato un vestito, metà giacca, metà scialle, per lo staff di un albergo di Zurigo. Un altro esempio è l’opera di Eugeny Antufiev che ha deciso di lavorare con Martin Ruch un pastore della Chiesa Riformata di Zurigo .

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Franz Erhard Walther, Halved Vests

Non ho potuto vedere invece l’installazione di Santiago Serra perché era già  stata rimossa. Il custode mi ha spiegato che non era stata apprezzata dai politici locali della città e dunque smantellata. Santiago Serra aveva richiesto ad un società di massima sicurezza di Zurigo di proteggere una delle sedi della mostra, il palazzo Helmhaus, come se si trovasse in una zona  di guerra. Il palazzo infatti era stato circondato da filo spinato, con le finestre e bloccati e gli archi protetti da sacchi di sabbia.

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Santiago Serra, Protected Building

Non mancano le opere ironiche e provocatorie come il piccolo ma urticante lavoro  di Gianni Motti dal titolo Mani pulite. L’opera si presenta come una semplice saponetta  realizzata, secondo  l’artista, con il grasso ottenuto da una liposuzione che Silvio Berlusconi ha fatto presso una clinica svizzera.   Nella Kunsthalle si trova una foto documento dell’opera , di Maurizio Cattelan  dove si vede una giovane ragazza in carrozzina muoversi sulle acque  del lago di Zurigo. La fotografia è stata fatta in seguito ad una performance realizzata nei primi giorni di Manifesta . Sul filo dell’ironia e del beffardo ho visto e purtroppo annusato anche il lavoro spettacolare di Mike Bouchet, composto da otto tonnellate di escrementi, compattata in cubi che coprivano 160 metri quadri di una grande stanza della Kunsthalle. Questo mare di feci è la quantità giornaliera calcolata che producono gli abitanti di Zurigo.

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Maurizio Cattelan, Senza titolo

Manifesta si chiuderà il 18 settembre e visitarla è stata una bella occasione. Il padiglione flottante costruito sul lago per l’occasione e chiamato il Padiglione delle riflessioni è stato forse il momento più piacevole della vista. Lì ho trovato tantissimo giovani, bambini che usufruivano della piscina al centro del padiglione passando il tempo a guardare il grande schermo dove venivano proiettati una serie di film sperimentali realizzati dalle scuole d’arte di Zurigo. Dentro al  padiglione, fatto tutto di piccoli listelli di legno, ho capito che Manifesta aveva vinto la sua scommessa:  è davvero entrata nel tessuto della città e ha saputo intessere relazioni con il suo tessuto sociale.

Unico rammarico? l’idea che ogni biennale debba inseguire un unico tema e che alla fine sia il tema a divenire la protagonista fino al punto di imporsi troppo nella selezione delle opere e degli artisti . Ma questo ormai  si sa è divenuta la costante di tutte queste manifestazioni.

Autore: italianintransito

Storica per amore dei fatti, accanita lettrice per passione, scrittrice a tempo perso. Il blog è una finestra sul mondo, un modo per far sentire la propria voce da un luogo non lontano geograficamente, ma distante anni luce dal mio passato. Condivido ciò che scopro e ciò che so cercando di non perdere mai l'entusiasmo per quello che vedo.

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