“dammi una Vespa e ti porto in vacanza! “

Cosa hanno in comune Zoolander 2, con Ben Stiller, Owen Wilson e Penelope Cruz, Vacanze romane, con Gregory Peck e Audrey Hepburn, Caro diario di e con Nanni Moretti?

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Tutte queste pellicole e molte altre ancora hanno in comune un prodotto che fa parte della storia italiana ed è espressione della nostra genialità: la Vespa, “lo” scooter per eccellenza.

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Nata nell’aprile del 1946, all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, la Vespa divenne subito un nuovo, funzionale e innovativo mezzo di trasporto che il pubblico apprezzò immediatamente. I primi esemplari vennero venduti con prezzi variabili dalle 55.000 Lire del modello base alle 66.000 Lire del modello de luxe.

“Tutti sono stati giovani in nostra compagnia: dal 1946 ad oggi, intere generazioni di ragazzi sono cresciute muovendosi in sella ad una Vespa”, si legge sul sito dedicato allo scooter più famoso del mondo. E ancora: “Da sempre omaggio alla femminilità, Vespa celebra la Donna e la mette alla guida per la prima volta”.

La settimana scorsa il Tribunale di Torino ha ufficialmente trasformato la Vespa in un’opera d’arte, un unicum che non può essere copiato (come avrebbe voluto una potente compagnia cinese). «La forma della Vespa – secondo i giudici del Tribunale – è senz’altro nota come oggetto di design industriale e nel corso dei decenni ha acquisito talmente tanti riconoscimenti dall’ambiente artistico (e non solo industriale) che ne ha celebrato grandemente le qualità creative e artistiche, da diventare un’icona simbolo del costume e del design artistico italiano».

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La Vespa fa parte della nostra storia recente ed è espressione della nostra creatività, giusto dunque considerarla una vera e propria opera d’arte, e poi chi non l’ha sempre desiderata?

La petite robe noire

petiteÈ lunedì e per minimizzare gli effetti del giorno tristissimo con cui inizia la settimana, l’argomento frivolo è un toccasana.

L’incursione di oggi sarà sulla moda. Il “fashion” è argomento usato e abusato, per alcuni un lavoro serio per altri un divertissement. Ed è solo della settimana scorsa ad esempio la presa di posizione netta della redazione online della rivista di moda più famosa al mondo, Vogue america, che si scaglia compatta contro le cosiddette “fashion blogger”, accusate addirittura di “dichiarare la morte dello stile”.

Noi invece vogliamo raccontare una storia, la storia di un capo di abbigliamento che è diventato un’icona dell’eleganza femminile.

Infatti, nell’ottobre del 1926 appare su Vogue, con la firma, neanche a dirlo, di Mademoiselle Coco Chanel la prima “petite robe noire”, l’immortale tubino nero, che in men che non si dica diviene il simbolo stesso della donna “moderna”.

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Un piccolo passo indietro per comprendere come, in un epoca in cui a malapena si lasciava intravedere la caviglia, la proposta di Coco Chanel abbia potuto riscuotere un tale successo.

La genesi di questo capo di abbigliamento risale agli anni della Grande Guerra, in cui le abitudini e i comportamenti erano destinati a mutare per sempre. La donna, fino ad allora ingessata nelle stecche di balena, ha ora bisogno di muoversi, di lavorare. Un argomento pressante è la mancanza di denaro che magicamente fa accorciare le gonne, scomparire le crinoline e abbandonare i tessuti preziosi. Quanto al nero, esso poteva essere indossato, senza destare stupore, anche da chi aveva subito una dolorosa perdita sui campi di battaglia. Dalla fine della prima guerra mondiale ogni stilista, ogni sarto di Parigi si adopera per proporre la propria idea di “petite robe noire”. Ma è con Mademoiselle Chanel che essa diventa il simbolo stesso di eleganza e modernità, viene accostata ad un’altra icona del momento, la Ford nera, e diviene insieme ad essa un’icona democratica.

Da allora il tubino nero è stato declinato in ogni possibile maniera. Ha reso indimenticabili donne come Audrey Hepburn, Grace Kelly o Jaqueline Kennedy ed è divenuto l’immancabile capo nel guardaroba di ogni donna.

La storia è bella e meritava di essere raccontata… Buona settimana!

 

 

Côté Suisse

montreuxDa quando viviamo sul lago Lemano mi stupisco di quante persone illustri, scrittori e artisti abbiano vissuto in questa terra. Non moltissimo tempo fa, mi sono imbattuta nella tomba di Richard Burton, passeggiando in un bellissimo cimitero di campagna, molto romantico, a Celigny. Tra l’altro, vi ho trovato anche la tomba di uno scrittore celebre, nello stesso cimitero, e quella di un celebre economista e sociologo, Vilfredo Pareto, a due passi da lì. So che in questa regione hanno vissuto Audrey Hepburn, Charlie Chaplin, Hugo Pratt e tanti altri.

Questa settimana, mentre leggevo una raccolta di saggi di Martin Amis, ho scoperto che anche lo scrittore Valdimir Nabokov, autore di Lolita, è vissuto con la moglie, durante i suoi ultimi anni di vita, da queste parti; nello specifico presso il Palace Hotel di Montreux. Il saggio in questione si trova nel libro La guerra contro i cliché, edito da Enaudi.cover

Il saggio ed il ritratto di Nabokov, scritti da Amis, corrono in tre capitoli. Il primo, dal titolo In visita dalla signora Nabokv, racconta proprio dell’incontro con la signora Vera Evseevna e col figlio Dimitri. 0016450f_medium

Permettetemi di riportarvi alcuni passi del saggio, che forniscono anche una curiosa  descrizione di Montreaux e della Svzzera.

Martin Amis sapendo di dover fare l’incontro in albergo scrive: “Ma perchè Montreux, mi chiedevo e perchè un albergo? Quando la Bbc è venuta a Montreux per registrequella che ora è conosciuta come la sua ultima intervista , Nabokov ha ossrrevato: “ Ogni tanto ho fantasticato di comprarmi una villa . Immagino i comodi mobili, gli allarmi superefficienti, ma non riesco a visualizzare uno staff all’altezza. I vecchi servitori ci mettono un bel po’ a diventare vecchi e non so quanto tempo ancora mi resti”. L’intervistatore Robert Robinson, diceva che passeggaindo per Montreux si ha “la curiosa sensayione di passeggiare all’interno di una vecchia fotografia”. Camminando nel sole e nella bruma del lungolago , pensavo ai parchi innocui e perduti di un’idealizzata fanciullezza.  I bambini svizzeri appaiono eleganti  e immacolati sui loro pattini. I moscerini Svizzeri sono riservatissimi e troppo civili per pungere o unirsi in nugoli”. ( Martin amis, ;la guerra contro i cliché, Einuadi, p.17).