Arte contemporanea in Italia siamo al capolinea?

In questi giorni mi sono trovata a seguire un filone di notizie che mi ha molto turbata e che mi ha indotto a chiedermi  se rimarrà qualcosa di ciò che da sempre sembra essere una delle componenti importanti della nostra società: i musei e il loro rapporto con la vita culturale.

Mentre sulla  prima pagina del Giornale dell’Arte leggevo che va al Brasile – e più precisamente al  Centro Cultural Banco do Brasil, di Rio de Janeiro – il titolo di museo più visitato al mondo (battendo così i musei d’Europa e d’America), sui quotidiani italiani, trovava spazio (se non risonanza) la notizia che l’Italia si prepara a mollare al proprio destino alcuni dei suoi principali musei d’arte contemporanea: il MAXXI di Roma è ormai sull’orlo del commissariamento e il Madre di Napoli ha già chiuso al pubblico un piano del palazzo.

Cosa sta accadendo? Non ci sono più soldi, certo: siamo in piena crisi  e questo non era stato previsto. Ma mi domando: chi aveva fatto i conti delle spese di funzionamento di questi musei? Come aveva pensato di gestirli? Qualcuno ha sbagliato quando si pensava alla governance di queste istituzioni, oppure non ci ha pensato affatto?

Niente di peggio che ingannarci con grandi progetti culturali e poi lasciare che tutto decada, per abbandonare il campo. Tutto questo è lì a denunciare ancora una volta la nostra debolezza, e si presenta come una ulteriore sconfitta che ci allontana dal mondo delle idee e della crescita culturale internazionale .

E allora mi viene di pensare all’artista Antonio Manfredi che, in qualità di direttore del museo, cerca vendetta per tutto questo abbandono. Da quando ha capito che non riesce più a tenere aperto il suo centro per le arti contemporanee, ha reagito come un’artista infuriato: d’accordo con tutti gli altri artisti presenti in collezione (più di mille da tutto il mondo), ha cominciato a bruciare le opere del suo museo.  Un atto estremo che non lascia possibilità di tornare indietro e  annulla tutto il lavoro portato avanti dal 2005.  Molti direttori e intellettuali seri si sono accinti quasi a sorridere e hanno detto che in fondo il  Cam non è mai stato propriamente un museo, ma solo il risultato delle azioni di un’artista. Questa scarsa sensibilità e questo superficiale istinto superiorità non fanno loro onore: io credo che questo artista si meriti più rispetto e attenzione, non fosse altro per la passione con cui ha condotto in questi anni il centro, nel tentativo di contribuire all’interazione del pubblico con gli artisti contemporanei.  Ma anche questo oramai sembra niente e mi domando: tutto ciò ha ancora un valore?