Esiste una cura?

Prendersi cura di sé stessi e procurare benessere al nostro corpo  è oggi lo sport dominante.

Questa attenzione non sfugge agli artisti contemporanei; basti pensare alle performance di Vanessa Beecroft che istruisce gruppi di modelle presentandone il corpo nudo come opera d’arte.

Il tempo dedicato alla cura di sé non ci sembra mai un tempo sprecato, ma dovuto. E così tutti ci affidiamo  sempre più a chi ci promette di “alleggerire” le nostre giornate.

Risultato? Ogni raggiunto alleggerimento ci porta verso un congelamento delle emozioni, un aumento della svogliatezza e accresce in noi il timore di essere messi in gioco dal rapporto con gli altri. Per stare leggeri occorre non impegnarsi. Sarà un caso che San Francesco chiese scusa al proprio corpo, prima di morire, dal momento che non si era mai risparmiato nell’affannarsi per gli altri.

Non c’è dubbio che l’artista inglese Damien Hirst  questo lo doveva aver pensato quando, nel 1992, ha presentato l’opera Pharmacy. In questa installazione, infatti,  ha saputo cogliere  bene la nostra ossessione e ha rappresentato con il suo lavoro il miglior ritratto di questa epoca. L’opera è costituita dall’arredo di una stanza  fatta di vetrine  asettiche dove si possono ammirare, bene allineati, una miriade di medicinali di tutte le forme e colori. Sono la nostra cura, l’ancora di salvezza, per illuderci di poter sconfiggere con la scienza le ansie e i dolori, alleggerirci la vita e perché no renderci immortali.

Damien Hirst, Pharmacy,1992

Per gli interessati al fenomeno: sappiate, in anteprima, che la Tate Modern di Londra sta preparando una mostra dedicata all’artista, che rimane fin dagli anni Novanta il  principale animatore del gruppo YBAs (Young British Artistes). La mostra sarà visitabile dal 4 aprile fino al 9 settembre.