“Durezza, spine e amaritudine molto più vi trovi che bontade…” Ariosto

Carciofi2Divisa fra il desiderio di scrivere dell’empatia come valore universale – dopo aver letto un articolo di Giulio Giorello sul Corriere della Sera (che per altro consiglio vivamente) – e la noiosa incombenza di preparare una cena accettabile per la famiglia, pur profondamente convinta, insieme al filosofo, che “la pietà è quel tipo di affetto che connette l’interiorità dell’uomo alla realtà esterna, la sua coscienza alle vicende altrui, attraverso la cognizione del dolore”, mi sono dovuta piegare al fardello quotidiano… come dire, il ventre ha la meglio sul cervello!

Pensando a come riconciliarmi personalmente con la realtà esterna, ahimè troppo spesso più amara che dolce, ho deciso di seguire proprio questi due gusti che raffinatamente si intrecciano in un vegetale che è principe del gusto: il carciofo.

Il carciofo è arrivato dal Medio Oriente in epoca remota e fu usato dapprima come medicamento e solo in seguito in cucina. I Romani, buongustai, lo usarono moltissimo anche perché l’Agro Romano ne produceva quantità incredibili. Il nome romano era Cynaria (vi ricorda niente?) probabilmente legato al fatto che con la cinis (la cenere) si concimavano i terreni in cui coltivare l’ortaggio. Certo la storia che ci consegna il mito è più gradevole. Infatti Cynaria era una ninfa che aveva fatto impazzire d’amore il re degli dei, Giove, e aveva naturalmente mandato in bestia Giunone, sua moglie, che per ripicca la trasformò proprio in una bella pianta di carciofo. In italiano il nome deriva dall’arabo harshùf, che è stato declinato in tutte le lingue europee in modo simile: alcachofa, in spagnolo, artichaut in francese, artichoke in inglese e Artischocke in tedesco.

Per cena lo facciamo trifolato! Non mi dilungherò sulla pulizia del carciofo (oltremodo noiosa e sgradevole), inoltre li ho trovati già “capati” come dicono a Roma, quindi lavati, puliti e pronti all’uso. Quindi prendete 8 carciofi e tagliateli a spicchi. In una pentola mettete due cucchiai di olio di oliva e uno spicchio di aglio (vi diranno di esagerare con l’aglio, ma il rischio è quello di coprire il gusto dei carciofi) che farete soffriggere leggermente, in modo che sprigioni tutto il suo aroma. Aggiungete i carciofi e un mazzetto di prezzemolo tritato sottile. Lasciate saltare i carciofi qualche minuto e poi aggiungete il brodo vegetale (se lo fate voi è una raffinatezza, se il tempo manca va bene il brodo vegetale con il dado) e continuate a bagnare ii carciofi ogniqualvolta si asciughi il sughetto. Basteranno 15/20 minuti per cuocerli, ma attenzione a che non diventino troppo molli. Appena cotti, altra spolveratina di prezzemolo e poi subito in tavola.

Un contorno si, ma anche piatto unico all’occorrenza per il valore nutritivo che questi ortaggi posseggono.

 

 

Autori che maltrattano i personaggi

bridget-jones-mad-about-the-boyHelen Fielding, autrice del famosissimo Diario di Bridget Jones, sta per pubblicare, per l’esattezza il 10 di ottobre,  il seguito della storia della ex trentenne che, dopo diverse disavventure trova finalmente l’amore e corona il sogno della sua vita convolando a giuste nozze con il nobile Mark Darcy.

La trama del feuilleton, uscito agli inizi degli anni 2000, che ha fatto piangere e sorridere le trentenni singles di mezzo mondo, che si calavano nei panni della protagonista, era costruito sulla falsa riga di Orgoglio e pregiudizio (prima edizione 1813, peraltro inarrivabile!) e aveva reso famosa non solo l’autrice, ma anche gli interpreti (maschile Colin Firth e femminile Renée Zellweger) della successiva trasposizione per il grande schermo.

Le anticipazioni sul nuovo romanzo di questa eroina nazional-popolare (il titolo dovrebbe essere Mad about the boy) la vedono ormai vedova del bel Darcy e con due figli a carico (cosa che ha gettato nel panico molte fans del Regno Unito).

Ma mentre aspettiamo che il libro giunga in libreria per poterne parlare (o anche no!) possiamo fare una riflessione sul potere di vita e di morte che possiede l’autore sui personaggi usciti dalla sua penna, e su come essi vengono percepiti dal lettore a seconda del modo in cui si affronta il testo.

Sicuramente Helen Fielding per poter dare un seguito alle vicende di Bridget doveva strapazzare la sua protagonista. A chi infatti può interessare una storia di tranquillità e appagamento familiare? E così il marito viene fatto fuori. Avevamo appena tirato un sospiro do sollievo per lei ed eccola ripiombare nei problemi (ci sarà un nuovo lieto fine?).

Ma quanti autori nel corso dei secoli hanno maltrattato i protagonisti infliggendo loro pene d’amore, sconvolgimenti economici, tragedie familiari e quant’altro solo per poter avere un lieto fine d’effetto o per poter dare, con la sorte miserevole loro destinata, insegnamenti morali o civili? Non si contano naturalmente.

Alcuni di questi personaggi sono entrati nel mito: Penelope e la sua fedeltà di sposa di Ulisse, costretta a tessere una noiosissima tela invece di spassarsela con i Proci; i due sfigatissimi Promessi Sposi, obbligati sadicamente a rincorrersi fra epidemie di peste, carestie e tranelli dell’Innominabile, per tante, troppe pagine.

Spesso gli scrittori sono più malvagi dei loro personaggi e le situazioni in cui li fanno vivere ed agire sono costruite in maniera che i poveretti non possono in alcun modo spezzare le catene delle avventure/disavventure nelle quali sono calati.

E allora ? Beh, a questo punto che nessuno di noi lettori si senta in colpa se avverte un moto di sollievo nel momento in cui Anna Karenina finisce sotto un treno o urla «Evvai!» quando finalmente Madame de Tourvel cede alle lusinghe del Visconte di Valmont. E neppure meravigliamoci di aver tifato per la balena bianca o di aver finalmente ricominciato a respirare solo dopo la distruzione di Macondo.

Teniamo sempre presente infatti che come lettori abbiamo i diritto di lasciar perdere, di abbandonare una lettura che non ci convince, che non ci piace sia essa un classico della letteratura o le cinquanta sfumature… a volte capita di fare del bene in questo modo agli stessi personaggi!

… ma come va a finire fra Elizabeth e Mr. Darcy?

pride_and_prejudice12Il 29 gennaio del 1813, duecento anni orsono, vide la luce uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi: Orgoglio e pregiudizio, pubblicato per la prima volta a spese dell’autrice Jane Austen con il titolo First impression.

L’adorato Bambino, com Jane Austen chiamava il suo libro più famoso, fu da subito accolto con grande favore dal pubblico e ancora oggi è letto e apprezzato.

Cerchiamo di analizzare le ragioni per cui questo romanzo continua ad essere attuale.

Innanzitutto l’autrice con acume e intelligenza, attraverso una lucida riflessione sui suoi tempi, crea un vero e proprio universo in cui si muovono, vivono, soffrono, realizzano le proprie speranze, si esprimono i suoi personaggi, i quali hanno tutti uno spessore che li rende vivi nella finzione lettararia. L’abilità della Austen sta nel donare ad ognuno di essi un posto preciso che non viola le rigide regole della società in cui sono calati.

Tuttavia su tutti i personaggi, ancorati a cliché sociali, spicca la protagonista Elizabeth, definita dalla sua stessa creatrice «una delle più deliziose creature mai apparse in un libro», che si distacca decisamente dal modello corrente di giovane donna del XVIII secolo. Intelligente, ironica, capace, fortemente legata ai propri valori, Elizabeth rifiuta però di sottostare alla regola dello «sposarsi bene». Non rinuncia a se stessa e ai suoi sentimenti, non si fa incasellare in schemi sociali precostituiti, non rinuncia all’amore per la tranquillità.

L’intero romanzo è giocato sul cambiamento della prima impressione (il pregiudizio del titolo) che Lizzy ha del Signor Darcy, colui che diverrà suo marito non per convenzione ma per amore. Darcy infatti passo dopo passo dovrà guadagnarsi il rispetto e l’amore della protagonista rompendo così quegli schemi triti che volevano la donna inevitabilmente seconda rispetto all’uomo.

Pietra miliare della letteratura non solo inglese, di questo libro, che lascia un segno profondo nel lettore, sono stati scritti infiniti sequel, ultimo dei quali nel segno del giallo (Morte a Pemberly, di P.D. James).

Da leggere e rileggere perché la Austen riesce a coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine del romanzo, scatenando emozioni e facendoci amare appassionatamente una vicenda fatta di verdi prati inglesi, ora del té e convenzioni sociali di altri tempi.

… e poi, in fondo, chi non apprezza una bella storia d’amore?