Un pensiero sulla lingua, dolore e tormento per noi italiani all’estero. Non parliamo certo per tutti, ma il pensiero è rivolto a chi la lingua straniera a scuola l’ha studiata più come letteratura, che come occasione di scambio e di parlata e ora prova l’affanno di vivere all’estero.
“Una lingua riflette sempre la cultura del popolo che la parla, il suo modo di leggere il mondo” sostiene Paolo Albani che, insieme a Berlighiero Buonarroti, ha scritto e ristampato nel 2011 il dizionario delle lingue immaginarie Zanichelli, intitolato Aga Magéra Difura (il titolo ripreso da una poesia scritta in una lingua inventata da Tommaso Landolfi nel 1935) . Un dizionario di parole inventate dedicato a chi sa immaginarsi una lingua tutta nuova, la più famosa in questo campo rimane l’esperanto.
In Svizzera romanda la lingua è il francese, ma chi vive tra Ginevra e Losanna rimarrà sorpreso di come ormai la vita è fatta di un miscuglio di lingue da tutto il mondo. La prima cosa da imparare appena si arriva è che per iniziare qualsiasi discorso occorra sempre partire dalla parola “bounjour”, sarà inutile qualsiasi altro surrogato come “Salve” o il più timido “Mi scusi”, perché non sarà visto di buon occhio, o sarebbe meglio dire non viene sentito di buon orecchio.
Intanto per chi non ha ancora inventato una nuova lingua e fa fatica con quella del posto abbiamo deciso di aderire alla bella proposta dell’Istituto Dante Alighieri, invitando tutti gli italiani a pensare e salvare alcune parole in disuso della nostra lingua.
Abbiamo trovato che personaggi come Dario Fo (con GIBIGIANNA), Matteo Renzi (con PROPINARE), Giuliano Pisapia (con DIRIMERE) hanno già dato il loro contributo alla salvezza di parole italiane in disuso.
La nostra parola da salvare è COMPAGNONE: di colui che mangia lo stesso pane.