Da dove vengono gli emoji

Tutti le abbiamo usate almeno una volta nei nostri messaggi telefonici o sulle mail. Servono per enfatizzare o smorzare i concetti che esprimiamo a parole, o semplicemente per rispondere velocemente a una domanda o per mostrare partecipazione o fastidio.

Sono le emoji, quelle faccine (e non solo) che sempre più spesso appaiono sui nostri telefoni, e che, soprattutto alla mia età, non tutti sanno usare correttamente, perché non sappiamo esattamente a cosa corrispondono. In fondo sono divertenti, no? Riempiono gli spazi bianchi e per una come me, che non riesce a sopportare neppure il silenzio in ascensore (il tentativo è sempre di spezzarlo con commenti sul tempo non richiesti), sono una vera e propria manna! Ma vi siete mai chiesti come nascono gli emoji e chi decide di quale faccina, espressione, animaletto, segno convenzionale abbiamo bisogno? Cercando di rispondere a queste domande mi sono addentrata in un mondo di cui non conoscevo assolutamente l’esistenza. Innanzitutto gli emoji nascono tutti nella Silicon Valley, presso l’Unicode Consortium, associazione no-profit ma partecipata dai giganti del WEB, che dal 1991 si occupa di uniformare tutti gli alfabeti e i vari segni grafici in modo che ogni linguaggio, ogni sistema operativo e ogni computer siano in grado di riconoscerli, affinché non venga perso nessun dato prezioso (vi ricordate quando i Mac non “parlavano” con gli altri computer, ebbene quella è storia ormai vecchia). Un’equipe di ingegneri prima di inserire nuove icone si pone tre domande fondamentali: la richiesta di questa nuova emoji è alta? servirà? verrà usata? Se sì è la risposta alle tre questioni, l’Unicode rilascia un glifo (dal greco γλύφω: incidere), cioè un disegno di base, che le varie compagnie potranno ulteriormente personalizzare (e questa è la ragione del perché le faccine delle emoji non sono tutte disegnate nella stessa maniera).  Se vi interessa saperne di più potete consultare Where do emoji come from un simpatico libro digitale che vi spiegherà tutto per filo e per segno.

Se desiderate che venga introdotto un nuovo segno, una nuova faccina, un nuovo cibo, un nuovo utensile, una nuova emozione ecc. non vi resta che inviare la richiesta all’Unicode Consortium, che, state sicuri, vaglierà la proposta. Infatti è di questi giorni la polemica se è giusto o meno introdurre l’emoji che rappresenta la mitica “pile of poo” in atteggiamenti differenti da quello attualmente in uso, che la vede sorridente e felice. Evidentemente era giunta dagli utenti la richiesta di una “cacca” triste, o preoccupata o arrabbiata. Dunque poiché questa è la dimostrazione che questi signori non hanno di meglio da fare che introdurre nuove emoji, non vergognatevi a richiedere ad esempio un piatto di lasagne o la faccia della suocera arrabbiata, chissà che non veniate esauditi!

 

 

Bottoni gialli che sorridono piangono e molto altro ancora

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Dovevamo progettare qualcosa che permettesse di comunicare  con pochissimi caratteri. Pensammo che usare solo parole, in un messaggio molto breve, avrebbe potuto portare a dei fraintendimenti. Fu così che creammo le emoji”.

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Così si è espresso Shigetaka Kurita, l’inventore nel 1990 dei simboli usati giornalmente da tutti noi per comunicare agli amici i nostri stati d’animo. Questi bottoni gialli ( ora anche in diversi colori)  da ottobre fanno  parte delle collezioni del MOMA di New York.

Il celebre museo ha infatti acquistato i primi 176 emoji creati dall’ingegnere giapponese. E in effetti questi primi segni, ancora in bianco e nero, 12×12 pixel, sono un po’ come la stele di Rosetta di un nuovo linguaggio del nostro tempo, alternativo alle parole, incentrato su un piano di comunicazione diverso e basato sulle emozioni.

Una ricchezza in più per un mondo sempre più interconnesso, utile per far dialogare tutti i popoli . heart_eyes_emoji_grande