Non sempre l’essenziale è invisibile agli occhi

follmi

Guardare non è vedere. Si può essere viaggiatori, girare il mondo e non essere in grado di saper cogliere ciò che di  bello ti sta davanti agli occhi. Questo vale anche per chi non viaggia. Penserete che per vedere ci vuole una sensibilità da artista, ma nella mia esperienza ho conosciuto  anche artisti eccellenti nella tecnica ma poco inclini a  cogliere la ricchezza di ciò che avevano attorno.

Sicuramente il fotografo Olivier Föllmi non è uno di questi. In questi giorni infatti ho visitato una sua mostra a Ginevra, presso lo  spazio SIG. Olivier Föllmi  è un fotografo di viaggio,  nato sulle alpi, di origine svizzera, italiana e francese. Oliveri Föllmi ha percorso il mondo intero. Così comincia la sua presentazione alla mostra . La sua vita è stata un’avventura fisica (già a 20 anni aveva percorso a piedi l’Hymalaya) e interiore (ha soggiornato fra l’altro quattro inverni nello Zanskar, una valle di cultura tibetana dell’Himalaya indiano dopo aver soggiornato un inverno nel monastero di Phuktal a 4000 metri).  Nella sua lunga carriera ha realizzato reportage per grandi riviste come  Life, Paris Match, National Geographic.

Olivier Follmi,
Olivier Follmi,

Nella mostra le immagini consentono di avvicinarsi all’atmosfera di tanti luoghi diversi e a momenti di vita quotidiana. Attraverso i volti delle persone sembra di riuscire ed entrare in contatto con culture molto lontane e fanno assaporare la bellezza del mondo.

Il percorso, si legge all’entrata, si basa su tre temi fondamentali: la diversità, la spiritualità e l’umiltà dell’uomo davanti alla natura. E negli scatti presentati – in modo particolare nelle foto dei paesaggi – non rimane nascosta la sua passione per la pittura. In mostra, per la prima volta, è presente anche un video. Si tratta di un mezzo espressivo nuovo per lui,  che senz’altro lo allontana dal lavoro di reporter per avvicinarlo ai linguaggi dell’artista.

La mostra sarà aperta fino al 6 aprile, entrata libera. Per saperne di più ecco qui è il sito della mostra

Il sogno di essere riuniti…

È quasi l’ora delle partenze e degli arrivederci (perché la parola «addio» l’ho sempre trovata così defnitiva…). Il tempo inevitabilmente trascorre e molti dei nostri figli sono (quasi) pronti a lasciarci.

Parlo di coloro che hanno finito la scuola e sono pronti a spiccare il volo da soli in un altro luogo diverso dal così ben definito e protetto «qui», proiettati verso un altrove che, sì fa paura, ma esercita anche una fortissima attrazione.

È stata per loro un’estate lunga e un processo lungo, attraverso il quale, ho colto, il desiderio di distaccarsi piano piano, senza fratture, da quello che è l’ambiente avvolgente e sicuro della famiglia e delle sue routine.

Fra qualche settimana loro saranno nel pieno della propria avventura e a noi rimarranno camerette ordinatissime e silenziose.

È su questo tema, quello della lontananza, che si basa una parte dei lavori di  John Clang, giovanissimo fotografo di Singapore. Nella sua insolita serie intitolata Being Together utilizzando  Skype e proiettori riunisce famiglie distanti migliaia di chilometri.

Il sogno di essere riuniti si compie nell’opera di Clang in modo digitale, ma non senza una profonda poesia.

Francesca woodman: artista per poco ma per sempre

Ancora una storia di donna: un’artista, fotografa americana.

Nata nel 1958 morta nel 1981.

Nel panorama dell’arte ci sono artisti che vengono cancellati facilmente dalla memoria, anche se in vita hanno avuto molto successo. Ma vi sono anche figure, magari meno appariscenti, che tuttavia non si riescono più a cancellare e che assumono nel tempo, senza sapere come questo accada, il ruolo di fonte di ispirazione per tanti altri artisti. Questo è il caso di Francesca Woodman, la cui opera è oggi al centro di una bellissima mostra al  Guggenheim di New York organizzata dal  San Francisco Museum of Modern Art.

Francesca Woodman era già una fotografa a tredici anni. Era così precoce che quando entrò, nel 1975, alla Rhode Island School of Design era già un’artista indipendente e consapevole della propria ricerca. Tutte le sue foto  si riassumono in nove anni di lavoro, dopodiché muore suicida. Tutto il suo percorso è, come ha scritto Corey Keller nel catalogo della mostra, “Haunting and intimate, direct and visceral” ossia “Appassionato e intimo, diretto e viscerale”.

Le sue fotografie sono per la maggior parte il suo autoritratto: ci sono pochissimi scatti dove appaiono figure maschili. Il suo interesse è per la donna, per il suo corpo, molto spesso nudo, usato per leggere lo spazio della foto attraverso il suo movimento. Per molto tempo è stato messo in risalto il suo ruolo di femminista e questo aspetto certamente l’ha resa ancor più famosa.

Gli sfondi scelti per il corpo sono spesso muri vecchi e scalcinati;  molte volte il corpo non appare nella sua interezza ma è presente solo come frammento dentro lo spazio o sotto forma di ombra, come un apparizione.

Francesca Woodman cresce in una casa di artisti. E’ figlia della famosa ceramista Betty Woodman e del pittore George Woodman e da essi trae e respira la disciplina e il lavoro dell’arte. La cosa che risalta dalla sua biografia è il rapporto che l’artista e la famiglia hanno sempre avuto con l’Italia, un vero amore che convincerà più tardi i suoi genitori ad  acquistare una casa all’Antella (provincia di Firenze), dove si sono ritirati a vivere e a lavorare.

Una bella mostra un bel catalogo da non perdere:  Retrospective of Francesca Woodman on view at th Guggenheim in Spring 2012. (16 marzo-13 giugno).