No pain, no game

No pain no gameAl Museo della Comunicazione di Berlino fra il 16 di marzo 2016 e il 26 giugno prossimo si tiene una mostra che può essere definita la mostra più dolorosa del mondo, allestita in collaborazione con il Goethe Institut nell’ambito del progetto SPIELTRIEB! E non sono gli argomenti a renderla dolorosa, ma l’interazione con le installazioni artistiche! Il duo di artisti tedeschi Volker Morawe e Tilman Reiff, che insieme formano il collettivo conosciuto come //////////fur////, hanno allestito 10 installazioni sensoriali che costringono il visitatore di interagire con esse e con gli altri visitatori. Una controproposta molto fisica per far riflettere sull’individualismo e sulla sedentarietà del gioco che definiamo “interattivo”, condotto seduti comodamente sul divano di casa di fronte ad uno schermo.

Facebox

Ed ecco allora che ci viene presentata la Pain Station, vincitrice del Premio Internazionale Media Art, sorella punitiva della Play Station, che sulla base dell’iconico gioco inventato nel 1972, Pong, uno dei primi videogiochi commercializzati al mondo, manda una scossa o vampate di calore al malcapitato giocatore che si trova a sbagliare la risposta del simulatore del ping pong. O ancora la versione gigante del celebre Snake che costringe i giocatori a correre affannosamente per far muovere i serpenti. Senza parlare della palline che si muovono solo se si canta o del social network più piccolo del mondo il Facebox in cui ci si trova fisicamente faccia a faccia con un vicino sconosciuto!

Una provocazione, un modo per combattere l’isolamento e l’ossessione non solo dei videogiochi ma anche dei social, per staccare un attimo gli occhi dal nostro smartphone ed accorgerci che in fondo non siamo soli.

La Cina è sempre più vicina?

Sull’edizione on line di 24 heures, il quotidiano romando, è apparso recentemente  un interessante articolo che annuncia l’apertura di nuove sedi dell’Istituto Confucio presso le Università di Zurigo e di Basilea, oltre a quello già esistente di Ginevra.

terra di mezzo
L'ideogramma che designa la Cina

Il nome richiama immediatamente memorie asiatiche e, in effetti, se si cerca sul web di cosa si tratta, compare una lunga lista di Istituti sparsi un po’ in tutto il mondo, creati in partnership fra Università occidentali e Governo Cinese (cioè finanziati sia dalle università ospitanti sia dal Governo Cinese).

Se poi si cerca di saperne un po’ di più, si approda inevitabilmente su Wikipedia e si scopre che si tratta di una pubblica istituzione “aligned with the Government of the People’s Republic of China” che promuove la lingua e la cultura cinese nel mondo, sostiene progetti e facilita scambi culturali.

Agendo come altri istituti culturali (Alliance française o Goethe-Institut) e utilizzando in qualche modo lo stesso modello, Pechino (cioè il governo centrale cinese) ha aperto 350 sedi in 150 differenti paesi in brevissimo tempo (dal 2004).

Alcuni studiosi pensano che il Governo centrale cinese abbia deciso di dare lustro all’immagine contemporanea della Cina, che possiede una cultura millenaria e affascinante ma le cui istituzioni politiche non incontrano le stesse simpatie…

È vero che si tratta di un restyling della propria immagine nella speranza di distogliere l’interesse dell’opinione pubblica internazionale dalle evidenti pecche soprattutto in materia di diritti umani?