È lunedì e per minimizzare gli effetti del giorno tristissimo con cui inizia la settimana, l’argomento frivolo è un toccasana.
L’incursione di oggi sarà sulla moda. Il “fashion” è argomento usato e abusato, per alcuni un lavoro serio per altri un divertissement. Ed è solo della settimana scorsa ad esempio la presa di posizione netta della redazione online della rivista di moda più famosa al mondo, Vogue america, che si scaglia compatta contro le cosiddette “fashion blogger”, accusate addirittura di “dichiarare la morte dello stile”.
Noi invece vogliamo raccontare una storia, la storia di un capo di abbigliamento che è diventato un’icona dell’eleganza femminile.
Infatti, nell’ottobre del 1926 appare su Vogue, con la firma, neanche a dirlo, di Mademoiselle Coco Chanel la prima “petite robe noire”, l’immortale tubino nero, che in men che non si dica diviene il simbolo stesso della donna “moderna”.

Un piccolo passo indietro per comprendere come, in un epoca in cui a malapena si lasciava intravedere la caviglia, la proposta di Coco Chanel abbia potuto riscuotere un tale successo.
La genesi di questo capo di abbigliamento risale agli anni della Grande Guerra, in cui le abitudini e i comportamenti erano destinati a mutare per sempre. La donna, fino ad allora ingessata nelle stecche di balena, ha ora bisogno di muoversi, di lavorare. Un argomento pressante è la mancanza di denaro che magicamente fa accorciare le gonne, scomparire le crinoline e abbandonare i tessuti preziosi. Quanto al nero, esso poteva essere indossato, senza destare stupore, anche da chi aveva subito una dolorosa perdita sui campi di battaglia. Dalla fine della prima guerra mondiale ogni stilista, ogni sarto di Parigi si adopera per proporre la propria idea di “petite robe noire”. Ma è con Mademoiselle Chanel che essa diventa il simbolo stesso di eleganza e modernità, viene accostata ad un’altra icona del momento, la Ford nera, e diviene insieme ad essa un’icona democratica.
Da allora il tubino nero è stato declinato in ogni possibile maniera. Ha reso indimenticabili donne come Audrey Hepburn, Grace Kelly o Jaqueline Kennedy ed è divenuto l’immancabile capo nel guardaroba di ogni donna.
La storia è bella e meritava di essere raccontata… Buona settimana!
Chi l’avrebbe mai pensato che il Festival del Cinema di Cannes deve la sua nascita alla cugina italiana, la Mostra del Cinema di Venezia ? La storia, fra i cinefili intendo, è nota. La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia vede la luce nell’agosto del 1932 per volere dell’allora presidente della Biennale di Venezia il conte Giuseppe Volpi di Misurata (da cui la Coppa Volpi che ancora oggi viene assegnata ai vincitori come migliore attore e migliore attrice protagonisti), dello scultore Antonio Maraini e di Luciano De Feo, capo dell’Istituto internazionale per il cinema educativo. Il tutto nasce come un rilancio turistico della città di Venezia, per attitrare le folle che magicamente scomparivano dalla laguna nel bel mezzo dell’estate. Apprezzata fin dalla nascita per la proiezione di film senza censura, si ritrovò ben presto presa nelle anguste maglie del regime fascista (tanto che il film vincitore dela rassegna veniva premiato con la Coppa Mussolini). Fra il 1932 e il 1938 passarono al festival di Venezia i nomi migliori del cinema dell’epoca : nel 34’ migliore attrice fu Katharine Hepburn per Piccole donne di Cukor ; nel 36’ furono proiettate le pellicole di registi quali Frank Capra, John Ford e René Clair ; nel 37’ spopola La grande Illusione di Jean Renoir con un giovanissimo Jean Gabin. Poi, nel 1938, le pressioni del governo fascista falsarono i risultati della competizione e portarono alla vittoria Olympia di Leni Riefenstahl, il lungometraggio sui giochi olimpici a Berlino del 1936, pura propaganda nazista.