Res gestae divi Augusti…

pappagallo… è una lunga lista, scritta dallo stesso Ottaviano Augusto, di tutte le cose memorabili da lui compiute, che si conclusero con la creazione di un impero duraturo e potente.

Nel 2014 si celebra il bimillenario di Ottaviano Augusto, morto il 19 agosto del 14, e per festeggiare degnamente questa data a partire dal 18 settembre prossimo verrà riaperta a Roma la casa dell’imperatore sul colle Palatino e quella della moglie Livia attigua alla prima, restaurate in tutta la loro magnificenza dopo oltre sei anni di chiusura al pubblico.

Venute alla luce nell’800 le due dimore si trovavano in uno stato di quasi completo abbandono con infiltrazioni di umidità che ne minavano le basi. Grazie a stanziamenti straordinari e all’opera di restauratori che hanno lavorato indefessamente le stanze dell’imperatore e della consorte brillano oggi di nuovo splendore. Gli affreschi caduti della stanza da pranzo di Livia sono stati completamente recuperati. Le stanze affrescate della biblioteca greca e latina di augusto hanno recuperato i loro colori. Nuovi particolari dimenticati sono venuti alla luce, come l’immagine di un pappagallino giallo o le decorazioni a festoni che ricordano un giardino.

“La Casa di Augusto al Palatino rappresenta non solo un luogo denso di significato storico, ma costituisce anche uno degli esempi più raffinati ed eleganti delle pitture che decoravano gli ambienti delle abitazioni patrizie”, insomma un gioiello recuperato, in cui grande importanza hanno avuto anche le soluzioni tecniche adottate per sanarne i problemi.

 

Petra, istruzioni per l’uso

Atlante di PetraPetra, la «città rosa», la «città delle tombe», si trova in una valle riparata da ripide montagne, adagiata da secoli in una conca che, se ebbe in principio la funzione di salvaguardare l’abitato dagli attacchi esterni, alla fine ne determinò anche l’oblio.

Storia strana quella di questo luogo. Le ricerche archeologiche hanno dimostrato come insediamenti umani fossero già presenti in quest’area fin dal Paleolitico. La città venne fondata dai Nabatei, popolazione di stirpe semitica e di provenienza araba, inizialmente nomadi, e conobbe momenti di grande fama e ricchezza legate per lo più al commercio delle spezie e dell’incenso. Punto di passaggio obbligato per tutte le carovane che trasportavano dal sud dell’Arabia verso Palestina, paesi del Mar Mediterraneo, Egitto e Siria le spezie dell’India, gli aromi della penisola arabica, la seta cinese e l’incenso, la città, retta da un re e da ministri, rimase per secoli ai margini dei territori della grande potenza dell’Impero Romano.

La sua influenza si estendeva dalla Siria del Sud al Nord dell’Arabia Saudita, dal Negev al deserto Siro arabo. Gli altri centri del regno nabateo furono Bosra ed Egra, ma entrambe caddero molto prima di Petra sotto i colpi dei conquistatori romani.

Petra si piegò solo nel secondo secolo d.C., ma già a quest’epoca i Nabatei non esistevano più. Per circa un secolo gli abitandti della città vissero fianco a fianco con gli occupanti, poi iniziò, inspiegabile, il declino che culminò nell’oblio di questo luogo e delle sue bellezze per ben sei secoli, durante i quali il ricordo della città restò solo presso le popolazioni nomadi che ancora la consideravano luogo sacro. Interdetta ai non musulmani, fu riscoperta per gli occidentali da un esploratore di Basilea Johann Ludwig Burckhardt nel 1812 che riuscì a penetrarvi grazie ad uno stratagemma. Fingendosi musulmano infatti affermò di aver fatto voto di sacrificare una capra presso la tomba del profeta Aronne, fratello di Mosè (che qui si sarebbe fermato fuggendo dall’Egitto con il suo popolo, da cui il nome del fiume che scorreva nella valle : il Wady Musa, Fiume di Mosè) che secondo la leggenda si trova proprio a Petra. Da allora, archeologi, ricercatori e turisti (tanti turisti) si sono recati a visitare quello che nel 1985 è stato dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.

Le vestigia rupestri, opera non solo dei nabatei, ma di tutte le popolazione avvicendatesi in questi luoghi, comprendono alcune centinaia di tombe ma anche santuari, cisterne, strade, case, a volte danneggiati dall’erosione delle rocce nelle quali sono state scavate, ma in genere molto ben conservate.

Finalmente dopo anni di ricerca e di studio, grazie alle fatiche dell’archeologa ed epigrafista Laila Nehmé è uscito il primo fascicolo di quello che potrtebbe essere il catalogo definitivo delle vestigia di Petra, che comprenderà gli oltre 3000 monumenti del sito e le migliaia di iscrizioni ritrovate in loco: Pétra, atlas archèologique et épigraphique

Grazie a questo strumento indispensabile, prezioso sia per gli addetti ai lavori sia per gli amatori delle antichità, i fasti di questo suggestivo luogo rivivranno. Il mistero che ha avvolto l’insediamento fino ad oggi diventerà meno fitto, permettendo un comprensione dei monumeti di Petra mai avuta in precedenza.