E chi se l’aspettava? Bob Dylan premio Nobel

130148272-8a5ccc07-f555-4188-8a31-ede13ecc8176

Qualche giorno fa scrivevo staremo a vedere chi sarà il premio Nobel per la letteratura. Chi se lo sarebbe aspettato? Bob Dylan mi ha spiazzata, sorpresa, ma anche resa felice per quel gusto di rottura e di scandalo che ha provocato la scelta.

Allora ho chiesto a Lorenzo Cipriani, musicista, storico dell’arte che ha avuto il piacere di incontrarlo a Pistoia non molto tempo fa, di scriverci una sua testimonianza.

Grazie Lorenzo ecco qui di seguito il brano che mi ha spedito:

Sono passati dieci anni da quella sera di luglio in cui mi capitò di vedere Bob Dylan nel backstage del Blues Festival di Pistoia, dove era stato invitato a suonare. Non era la prima volta che andavo a un suo concerto, ma adesso avevo la possibilità di vederlo da vicino. Ero emozionato, anche se al momento non ne capivo neanche il perché. Ma provate voi a passare gran parte della vita a tornare ad ascoltare le canzoni di un tipo americano che ha l’età di tuo zio, a suonarle con gli amici, a prenderle come esempio per comporne di proprie, e a non emozionarvi quando ve lo vedete a due passi di distanza! Ho sempre pensato a Dylan come a un profeta, una voce che grida nel deserto, un’immagine quasi biblica.

Insomma vedo passare i musicisti della band, salgono sul palco ed iniziano a suonare. Poi arriva lui, vestito di nero, con un cappello texano nero. Sguardo basso, quasi un ghigno ai lati della bocca, mi sembra uscito dall’inferno. Non guarda nessuno, va dritto alla scala del palco e sale. La folla è come un boato là fuori quando comincia a cantare.

The times they are a-changin’, canta come secondo brano. E mi viene da pensare che dal ’64 ad oggi poco è cambiato, i tempi non sono poi tanto migliorati e la profezia “cominciate a nuotare o affonderete come pietre” non si è avverata. Canta di profilo al pubblico, come rattrappito su una tastiera di un organo dal suono di un vecchio film con Vincent Price, le note saltano dai tasti percossi dalle dita che sembrano stecchi di un albero in inverno. La band tira dietro come in un disco di Tom Waits; c’è tutto dentro quella musica: psichedelia e rock’n’roll, country, bluegrass e blues, tanto blues. I musicisti sembravano i cavalieri dell’apocalisse di Dürer, talvolta un solo di chitarra esce dalle casse come le sette trombe. Il pubblico in piazza è un po’ deluso, si aspetterebbe di ascoltare i brani che conoscono meglio, suonati nel modo che riconoscono meglio. Niente. Dylan sembra voler lacerare ogni canzone, gioca nel farle ancora vivere, nel cantarle ancora oggi che tutto è cambiato anche se niente è cambiato. Le interpreta come fanno i poeti quando declamano le proprie liriche, perché è uno di loro, uno di quelli che hanno ricevuto la condanna della poesia, come diceva qualcuno. Le sue parole hanno provato a cambiare il mondo: io non so se il mondo è cambiato da quando Dylan ha cominciato a comporre canzoni, ma so che hanno cambiato il mio mondo. E credo di non essere il solo. Il giorno in cui viene assegnato il Nobel per la letteratura a Bob Dylan, muore Dario Fo che aveva ricevuto lo stesso riconoscimento e che una volta disse: “In tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta. Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po’ le teste. Tutto il resto, la bellezza per la bellezza, non mi interessa”. Sono parole che potrebbero valere anche per le canzoni di Dylan ed è bello pensare che si sia verificato come un passaggio di testimone fra i due. Entrambi non hanno cambiato il mondo, ma ci hanno davvero provato.

Kassel, un appuntamento estivo per gli appassionati di arte contemporanea

Oggi il blog ospita, lo storico dell’arte Lorenzo Ciprian,i appena rientrato da Kassel.  Lorenzo ha infatti visitato  la grande rassegna che si tiene ogni 4 anni in Germania dedicata all’arte contemporanea . Un appuntamento molto significativo e importante per capire e respirare ciò che gli artisti di tutto i mondo fanno in questo momento.

A lui la parola:

Fridericianum, Kassel, foto di Nils Klinger
Foto di Nils Klinger

Per chi si trova in Germania questa estate e per tutti gli appassionati d’arte è stata inaugurata l’8 giugno la tredicesima edizione di Documenta a Kassel, una delle più grandi rassegne d’arte contemporanea del mondo. Un’edizione all’insegna dell’incertezza e della precarietà, dove si trovano esposti artisti di fama internazionale, ma anche sconosciuti o semplici appassionati, perché “La cosa migliore che l’arte può fare è non dare certezza ma incertezza e porre domande – deve porre dei dubbi vertiginosi su cosa in effetti l’arte può essere.”, stando alle parole della curatrice Carolyn Christov-Bakargiev.

I temi principali della mostra sono quelli delle difficoltà che la nostra società sta attraversando in un momento di crisi, non solo economica, ma anche culturale e di valori. Un momento di svolta che l’arte di oggi vede attraverso una lente spesso deformata, difficile da comprendere, ma talvolta estremamente lucida e potremo dire per certi versi profetica. La speranza nelle tecnologie è uno degli elementi chiave di questa svolta, soprattutto per quegli artisti che lavorano con le neuroscienze o con le scienze sociali, legate alla globalizzazione. Un altro punto che pare evidente è il tema della distruzione e della ricostruzione dopo le guerre che si sono accese in questi ultimi anni. La rassegna si compone di altri tre luoghi di esposizione – Kabul, il Cairo e il Banff National Park in Canada – con i quali intesse una rete di relazioni con opere ed artisti provenienti da questi luoghi o che trattano tematiche legate ad essi.

L’arte italiana è in prima fila con una nutrita partecipazione di artisti – la curatrice italo-americana tra le altre cose ha diretto in passata il museo di Arte Contemporanea di Torino –, a cominciare da quello che viene chiamato il “cervello” della mostra, ovvero la Rotunda del Fridericianum, dove si possono ammirare alcuni dipinti di Morandi accompagnati dagli oggetti originali che furono i modelli per i dipinti realizzati dall’artista dopo la seconda guerra mondiale. Giuseppe Penone è presente con un grande lavoro “ambientale” nel Karlsaue Park di Kassel, ma anche nella succursale di Kabul. Un grande omaggio è dedicato ad Alighiero Boetti ed una sala intera è allestita con i lavori concettuali di Fabio Mauri. Inoltre sono presenti opere di Francesco Matarrese, Rossella Biscotti, Massimo Bartolini e Chiara Fumai.

Un lavoro da non perdere? Sicuramente quello del canadese Geoffrey Farmer nella Neue Gallery: un’enorme collage tridimensionale realizzato con ritagli tratti dalla rivista Life che ci conduce in un viaggio retrospettivo nella nostra storia e nella nostra cultura popolare, uno spaccato del ventre della nostra società.