Chiacchiere del lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Perché mai approfitto di ogni occasione per sentirmi colpevole? Siete così anche voi? Siete di quelle persone che si scusano per un niente? Facciamo un test: camminate per strada e qualcuno vi urta; d’istinto vi sentite colui che ha urtato e quindi chiedete scusa, oppure vi sentite colui che è stato urtato e dunque guardate male l’altra persona?

Se avete risposto colui che urta e chiede scusa, allora sappiate che secondo Milan Kundera fate parte “dell’esecito dei chiediscusa”, cosi chiamati nel suo ultimo libro L’insignificanza. Anch’io mi sento di quella schiera, anzi addirittura sono del tipo che entra in un negozio e invece di dire buongiorno dice: scusi, posso farle una domanda?

Kundera, inoltre, fa dire al suo personaggio che chiedere scusa non è solo “uno stupido riflesso” ma addirittura uno strumento per mettere a prova la forza tra due persone. Mi spiego meglio, egli sostiene che “la vita è una lotta contro tutti” e oggi nel mondo civile, non potendo scagliarci gli uni contro gli altri, non ci rimane altro strumento che “l’ignominia del senso di colpa da scaricare sull’altro. E continua: Vincerà chi riuscirà a fare dell’altro un colpevole. Perderà chi ammetterà di avere torto”. I chiediscusa pensano di ammansire le persone chiedendo loro scusa, in verità si mettono in una posizione di debolezza e alla fine saranno dei perdenti.

Il secondo personaggio del romanzo di Kundera, che è affetto dal male del chiediscusa, risponde a queste affermazioni dicendo: “ e’ vero non ci si deve scusare. Eppure, preferirei un mondo in cui tutti si scusassero, senza eccezione, inutilmente, esageratemente, per niente, in cui si profondessero in scuse...(p. 54) ”. A pensarci bene è proprio il mondo che piacerebbe anche a me: non è che, forse, le cose andrebbero meglio, se tutti si comportassero così?

Scusate, ma voi che ne pensate?

Buona settimana

L’insostenibile leggerezza dell’essere e la felicità del criceto

cricetoQuante volte nella vita avete avvertito la pesantezza delle situazioni, delle persone, delle parole e ne avete provato un senso di rifiuto? Situazioni, persone, parole che risultano insostenibili e che, come affermava Calvino nella prima delle sue Lezioni americane, riflettono “l’inerzia e l’opacità del mondo” e lasciano l’impressione che stia “diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi e che non risparmia nessun aspetto della vita”. Recentemente mi è successo di imbattermi nella pesantezza della vita, e come spesso mi accade, la mia prima reazione è stata quella di ribellarsi a questo fardello, una ribellione contro quei movimenti retrogradi che bloccano e frenano il divenire producendo chiusura e inerzia. Ma spesso la rabbia non ha scopo, è come combattere contro la stupidità. Per fronteggiare la pesantezza, per “non essere schiacciati dal peso della materia” (soprattutto materia umana) è necessario agire come Lucrezio nel De rerum natura, per il quale la più grande preoccupazione era dissolvere la “compattezza del mondo” e arrivare ad avere la “percezione di ciò che è infinitamente minuto, mobile, leggero”. Si tratta di un bell’esercizio che serve se non altro a sbollire la collera.

Per polverizzare e sminuzzare la realtà spesso può essere d’aiuto la letteratura e in questo caso è d’obbligo pensare a L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. Il titolo è un ossimoro, e nel suo romanzo Kundera “dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna” (ancora Calvino). La seconda cosa che può venirci in aiuto è guardare alla felicità del criceto, che gira sulla sua ruota nella gabbia senza fermarsi, apparentemente appagato da ciò che ripete all’infinito.

Tutto ciò per dire che è necessario vivere con leggerezza, senza macerarsi, senza combattere situazioni che non sono sostenibili, insomma imparare a “mollare il colpo” quando è necessario e ad accontentarsi delle piccolezze della vita come se fossero il più grande regalo che la vita stessa ci possa fare.