“Il Monte Bianco luccica in alto” (P. B. Shelley)

Le-nuove-funivie-del-monte-Bianco-Photo-Doppelmayr-Garaventa-ITALYChi arriva dalla Valle d’Aosta non ha la fortuna di avere la prospettiva sgombra per poter apprezzare il massiccio del Monte Bianco in tutta la sua maestosità. Ci si ritrova, infatti, repentinamente sotto un muraglione di ghiaccio che in primavera geme e si contorce. Noi invece che siamo al di là del Monte Bianco, lungo tutta la strada che porta al tunnel e da molto più lontano, dalle rive del lago Lemano, ne assaporiamo l’imponenza tutti i giorni, tanto che il profilo della montagna diventa compagno di vita e presenza quasi rassicurante quando si alza lo sguardo a cercare l’orizzonte.

Il Monte Bianco ha sempre suscitato reverenza e curiosità allo stesso tempo. Alla fine dell’Ottocento divenne meta dei viaggiatori del Gran Tour, venne descritto nelle poesie di Coleridge e di Shelley. Quello che da lontano sembra un quieto gigante in realtà nulla o quasi ha di quieto, ne sono la prova le tragiche vicende alpinistiche di cui fu protagonista assoluto fin dalla prima ascesa di fine settecento e il tributo di vite che la montagna ha voluto.

Di tutto si è fatto per poter intaccare la sua sacralità, per fare in modo che il piccolo essere umano potesse salire in groppa al gigante e dal 30 di maggio di quest’anno è in funzione una nuova avveniristica funivia, già ribattezzata l’ottava meraviglia del mondo. Grazie alla nuova funivia chiunque potrà salire fino nel cuore del massiccio e come promette il sito potrà quasi toccare con mano le vette. “Da Courmayeur è possibile salire al Rifugio Torino, dove il panorama sul Monte Bianco è assicurato grazie alla Terrazza panoramica e al “Sentiero dei Giganti” che con un’agevole passeggiata in altitudine porta al Rifugio Torino nuovo. Lo sguardo si perde tra seracchi e torri granitiche dalle sfumature pastello. All’orizzonte i celebri “4000” d’Europa: Cervino, Monte Rosa e Gran Paradiso… Le cabine sono dotate di un sistema che permette la rotazione su se stesse permettendo ai visitatori di fruire della visione a 360° di tutte le zone attraversate. Ai 3452 metri di Punta Helbronner è stata costruita una terrazza circolare di 14 metri di diametro, dalla quale si gode di una vista a 360 gradi sulla vetta del Bianco (4810 metri), sul dente del Gigante e sulla straordinaria Vallée Blanche”.

Se non si soffre di vertigini questa è un’imperdibile escursione, la cui visione ci farà dire insieme al poeta:

“L’incessante universo delle cose
scorre attraverso la mente, e rotolando muove le sue rapide onde,
ora scure -ora luccicanti ora riflettenti l’oscurità-
ora splendori che si prestano, dove da sorgenti segrete
la fonte del pensiero umano porta il suo tributo
di acqua, -con un suono suo solo per metà,
come un esile fiume assumerà
nelle foreste selvagge, tra le montagne solitarie,
dove le cascate intorno zampillano eternamente,
dove i boschi e i venti disputano, e un ampio fiume
irrompe incessantemente sulle sue rocce ed è entusiasta”.

Mont Blanc P. B. Shelley

Italiani e italiani

Viviamo, a Ginevra, circondati di montagne. Le librerie sono ricche di libri di scalate sulle Alpi e su tutte le catene montuose del mondo. Lo scienziato che concepì l’idea di ascendere il Monte Bianco, del resto, era proprio un ginevrino che ammirava quella massa candida dalle rive del lago Lemano e che mise in palio un premio per chi ne avesse raggiunto la sommità. E’ da allora che la gente di questi luoghi non ha smesso di andar per monti. Così quando mi è capitato tra le mani il libro di cui sto per parlarvi, l’ho guardato distrattamente: sembrava l’ennesimo libro di ascensioni, con sacrifici incredibili per raggiungere la meta effimera della vetta.cop

Ma non era così. Si trattava certo del racconto di una salita, ma compiuta in condizioni così uniche da prestare il destro per una serie di digressioni sulla storia dell’Italia e del suo periodo coloniale. Vi si narra di tre prigionieri di guerra italiani, catturati dagli inglesi a Addis Ababa, al momento del crollo rovinoso delle difese dell’Africa Orientale Italiana, e internati ai piedi del monte Kenya: un gigante di circa 5,000 metri che si eleva sulla savana. I tre divengono amici e decidono, sotto la guida di un italiano singolarissimo, Felice Benuzzi, di scalare quella montagna (una delle sue punte: la Lenana), per piantarvi il tricolore e tirarsi su il morale.

Contrariamente a ciò che questa impresa possa suggerire, però, non si tratta di una esaltazione nazionalistica delle virtù italiane, ma di una lettura onesta delle nostre scellerate esperienze coloniali. Seguendo la vita dei protagonisti della scalata e in particola quella di Benuzzi si incontrano anche gli uomini che fecero quello che Mussolini chiamò l’impero (complice il Re). Quegli uomini, che allora avevano il comando dell’Italia e delle sue risorse, lo edificarono passando sui cadaveri di una quantità enorme di povera gente, comportandosi in modo barbaro e privo della più elementare umanità. E’ un libro che tutti dovrebbero leggere perché fa piazza pulita dello stereotipo degli “italiani brava gente”.

I protagonisti della scalata, però, sono figure belle, generose, non compromesse con gli orrori del periodo in cui vivono, e quindi mantengono la libertà di spirito per compiere un gesto folle, ma pieno di poesia: scalano questa montagna senza guide e attrezzature. Vi piantano il tricolore perché per loro non rappresenta il fascismo ma un’Italia diversa, fatta di cultura, di elevazione spirituale e morale. Benuzzi ne trasse anche un libro che divenne un best seller nel mondo anglosassone.

Noi siamo italiani in transito. Non possiamo non provare simpatia per questi italiani transitati in altri tempi per terre lontane, come tanti altri fra la nostra gente, rimasti puri in un mondo dominato dal male. E al tempo stesso non si può non provare orrore a leggere ciò che altri italiani in transito fecero nell’impero, in Libia, in Etiopia, in Somalia. Vien voglia di dire: come italiani in transito ci ispiriamo a Benuzzi e ai suoi amici. Come italiani, ripudiamo tutto ciò che rese possibile i comportamenti criminali dell’Italia nelle colonie.

Il libro si chiama Point Lenana, scritto da Wu Ming1 e Roberto Santachiara, Einaudi

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