Alimentarium : fra cultura e marketing

Alimentarium, Vevey
Alimentarium, Vevey

In questi giorni ho visitato l’Alimentarium un museo dedicato all’alimentazione nella cittadina di Vevey in Svizzera.Ero in compagnia di un giornalista che si occupa della storia dell’alimentazione e dalla conversazione con lui è scaturito questo commento:

Sulle rive del lago di Lemano, dove ha la sua sede principale, la Nestle ha organizzato un museo intitolato “Alimentarium”, intendendo occuparsi in chiave moderna di cultura dell’alimentazione umana. Dopo le opere di Massimo Montanari, uno dei maggiori storici dell’alimentazione, è divenuto comune lo slogan “alimentazione come cultura”: per intendere che il cibo dell’ uomo è stato nei secoli, com’è oggi, un prodotto artificiale e quindi culturale. I modi di cucinarlo, ammannirlo, presentarlo, gustarlo sono derivati dalle diverse e svariate manifatture delle civiltà che nei secoli si sono succedute ed hanno trasformato il prodotto naturale in alimento connaturato alle mode ed a i gusti correnti. La cucina non è mai “naturale”: è stato scritto che da quando l’homo sapiens è passato dall’economia di predazione all’economia di produzione (alcune decine di migliaia di anni fa) ci siamo sempre procurati il cibo artefacendolo, cioè modificandone la naturale composizione, quindi il sapore e il gusto, con elaborazioni e fantasia. Cioè con la cultura. “Sapori per mezzo dei saperi”; si dice oggi che c’è un solo cibo che possa dirsi interamente naturale. Quale? Un piatto di ostriche, sempre che non siano cotte, scottate, condite con salse e via dicendo.

Quindi è in letteratura fiorente l’abbinamento fra alimentazione e cultura; sono sorti i trattati di culinaria, gli studi della storia d’alimentazione, le riflessioni sul gusto. Perché, ci ha insegnato Marvin Harris, non è vero che è buono ciò che piace. Invece è buono ciò che ci hanno insegnato a considerare buono: non buono da mangiare, ma buono da pensare. Anche il gusto quindi, è un risultato culturale.

In questo fecondo (ed oggi molto battuto) filone si è inserita la Nestlé, aprendo un museo che espone gli svariati modelli alimentari delle varie epoche, i meccanismi della cucina (anch’essa variata nel tempo), gli strumenti della produzione e della culinaria, del galateo, fino all’esposizione di opere d’arte che hanno fatto riferimento al cibo del uomo.

Quasi a farsi perdonare per l’enorme e brutto opificio moderno che spicca sulle sponde del lago, il museo è stato ospitato nella splendida villa primo-novecentesca che è stata la prima sede della ditta. Come oggi si conviene c’è una sezione didattica in cui sciamano i bambini, una più direttamente culturale con i riferimenti al passato e al presente, un self service, le illustrazioni ed esposizioni su supporto elettronico. Senza dimenticare che la Nestlé è un’ impresa commerciale: quindi – con discrezione e buon gusto – è ben presente anche lo scopo del marketing, con opportuni richiami anche storici al gustoso prodotto che da Vevey si sparge in tutto il mondo.

Chi volesse saperne di più sul museo: http://www.alimenterium.ch

I riferimenti bibliografici sulla storia dell’alimentazione sono quelli offerti dalle diverse opere del professor Massimo Montanari, Università di Bologna

Che prezzo ha la fedeltà?

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Fedele è chi è costante nei rapporti con gli altri. Un aggettivo che oggi sembra un po’fuori moda. La stessa fedeltà non è più una virtù, siamo tutti rilassati sull’ impegno con l’altro e tutti siamo d’accordo nel dire che l’affetto non deve soffocare, anzi ognuno rivendica la propria libertà- Persino in caso di separazione, oggi il peso dell’infedeltà non è più considerato determinante. Fedele poi è il nome con cui si indica il seguace di una confessione religiosa, e mai come oggi tale figura appare discussa, sospetta e arretrata. Che dire poi del sinonimo della parola fedele: devoto, ovvero una persona consacrata ad un’ideale o ad un principio; mi guardo in giro e mi chiedo se ne esistano ancora.

Attenzione però la fedeltà e la devozione ci sono oggigiorno sempre più richieste. Tutti le vogliono, ma non più nel campo del rapporto con l’altro ma nella relazione quasi assidua tra le persone e le cose. Faccio un esempio, ogni negozio dove vi affacciate ormai vi propone la sua carta fedeltà: è un tormento, ci tenta e ci richiama; sembra non se ne possa più fare a meno. Ci avete fatto caso? Pensavo a questo leggendo che anche la Coca Cola ha deciso di produrre le sue bevande in cialde. Si dice già che sarà una rivoluzione : saranno delle cialde proprio come quelle che ora sono in commercio per il caffè e il tè. Progresso? Addio bottiglie e lattine: bene, mi dico, meno spreco e meno ingombro. Ma in fondo lo so: è una nuova trappola di chi mi vuole per forza legare a lui per sempre. Mi spiego, per bere quelle bevande, avrò bisogno di acquistare la macchine che le produce e potete giurarci che da quel momento sarò fedele consumatrice della Nestlè, della Coca Cola o di qualsiasi altra diavoleria che mi vorrà tutta per sé.

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