Shirley

dal film Shirley di Gustav Deutsch
dal film Shirley di Gustav Deutsch

Carpire il mistero di un capolavoro è sempre stato uno dei motivi per i quali ci avviciniamo ad un’opera d’arte. Ciò mi è tornato alla mente in maniera evidente guardando un film. Non un film qualsiasi, ma un lavoro totalmente incentrato sull’opera del pittore statunitense Edward Hopper, che mette in scena e dà vita, con attori, a 13 dei suoi quadri più celebri. Si intitola Shirley e il regista è Gustav Deutsch.images

Si sa che mettersi davanti a un quadro vuol dire godere di un piacere estetico capace di condurti verso le profondità, i reconditi recessi, anche i misteri, come dicevamo sopra, sottostanti la pura superficie dipinta. Insomma, io credo che ogni volta che ci mettiamo davanti a un quadro ci venga spontaneo domandarci cosa ci sia dietro, cosa abbia pensato l’artista in quel momento o perché quel pittore abbia mai scelto una data immagine da rappresentare.

Immaginate di mettervi davanti alle opere di Hopper, che descrivono momenti di quotidianità intima e assieme astratta dal tempo – un po’ come accadeva, secoli prima, al pittore olandese Joannes Vermeer. Sono caratterizzate da una sorta di atmosfera intima, dalla luce di un particolare momento e dalla presenza di personaggi colti in un attimo, che ci invita quasi a entrare nella cornice per seguire una storia. Niente di più favorevole per una trasposizione cinematografica, che comunque richiede sensibilità di artista per non essere banale. Certo, niente di assolutamente nuovo: anche l’opera di Vermeer è stata scelta dal cinema di recente, ma il film si è concentrato su un solo quadro.

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Il film su Hopper, invece, scorre attraverso 13 sue tele, che divengono quadri di vita interiore e di relazione dipanandosi così in una vera e propria storia personale, quella della figura femminile più ricorrente nei suoi quadri (la Shirley del titolo). Una storia che si intreccia con la storia americana dagli anni Trenta ai Sessanta: attraverso il quadro si percepisce la vita nel periodo successivo alla grande depressione, con le profonde divisioni razziali e sociali, per attraversare Manhattan in alcuni suoi scorci ormai parte del nostro immaginario collettivo, e passare poi al dopoguerra con il maccartismo, fino a sfociare nella luce del civil rights movement, con la marcia di Washington del ’63 e lo storico discorso del reverendo King.

La protagonista attraversa questa storia in pittura e perviene ad una catarsi, dalla quale, proprio come il suo paese, risorge proiettandosi verso una nuova vita.images

Pierre Bonnard e il pensiero interiore della realtà

Se l’arte moderna vi piace; e in modo particolare vi piacciono la pittura e l’atmosfera francese a cavallo tra il XIX e XX secolo. Se vi appassionano le scelte coraggiose dei pittori che ruppero con l’accademia e con l’arte più tradizionale, per cercare attraverso una nuova tavolozza di colori puri, vivaci  e accesi nuove immagini che raggiungessero una perfetta armonia di composizione, in maniera tale da tenere conto non tanto di  ciò che si vede ma di ciò che si sente. Se vi interessa  una pittura che possa esprimere il pensiero interiore della realtà.

È allora il caso di non perdere la mostra in corso di Pierre Bonnard alla Fondazione Bayeler  a Basilea (29 gennaio-13maggio).

Pierre Bonnard è il fondatore (assieme agli amici Vuillard, Roussel e Vallotton)  del gruppo dei Nabis, un movimento di giovani artisti seguaci delle teorie simboliste-sintetiche di Paul  Gauguin.  Nei dipinti di Bonnard troverete una sapiente sintesi di linee e colori. Visitando la mostra,  scoprirete l’interesse dell’artista per la grafica giapponese, per gli arabeschi ingegnosi, per le linee sinuose, nonché la sua predilezione per ambientazioni intimiste dove i nudi femminili vengono rappresentati con grande tenerezza nella propria riservatezza, cogliendone tutte le sfumature dell’anima.

Per maggiori informazioni potete consultare il sito della Fondazione Bayeler