The Goldfinch (Il Cardellino), di Donna Tartt
Non so proprio da che parte iniziare a parlare di questo libro. Non so se cominciare dalla sua autrice Donna Tartt, che con quest’opera ha vinto il premio Pulitzer della narrativa 2014, la quale già scrittrice di successo si è ripromessa di dare alle stampe solo cinque libri nella sua esistenza, uno ogni decennio. O dagli inevitabili echi letterari che ci evocano le (dis)avventure di Theo, il protagonista per gran parte del libro adolescente, che ci fanno pensare a Salinger, per le atmosfere di una New York vista con gli occhi di un ragazzino, o a Dickens, per la sua storia di orfano sconsolato e irrimediabilmente solo.
Non sbaglio senz’altro affermando che si tratta di romanzo complesso giocato sulle vicende di un outsider, in cui malinconia, dolore per la perdita (il protagonista perde la madre in un attentato all’inizio del romanzo), incapacità di rapportarsi agli altri la fanno da padrone per un lungo, anzi lunghissimo (il romanzo è di circa 900 pagine) flashback, che tuttavia, grazie alla capacità dell’autrice, non risulta mai pesante con la sua prosa chiara, piana, precisa che non ce lo fa abbandonare stremati.
Un altro elemento che si intreccia al racconto è la presenza costante, come un leitmotif, di un capolavoro dell’arte di tutti i tempi le cui vicende sono strettamente connesse alla storia del protagonista. L’opera è quella che dà il nome al libro della Tartt, Il cardellino di Carel Fabritius, allievo di Rembrant, morto giovanissimo all’apice del successo, che diventa una vera e propria ossessione per Theo e lo porta ad affermare sul finale “è un onore e un privilegio amare ciò che la morte non tocca… Nella misura in cui il quadro è immortale (e lo è), io ho una minuscola, luminosa, immutabile parte in quella immortalità. Esiste e continuerà ad esistere. E io aggiungo il mio amore alla storia delle persone che hanno amato le cose belle”.
Insomma un bel libro di amplissimo respiro, un po’ rovinato nelle ultime duecento pagine dal gusto decisamente americano per il colpo scena violento che risolve la situazione giunta al punto di non ritorno, ma che poteva dipanarsi senza cambiare lo stile di tutta la storia precedente.
Da leggere, per chi ne ha voglia e soprattutto tempo.