“La blasfemia non è un diritto”. Così intitolava Alberto Melloni un suo intervento su Il Corriere della sera del 10 gennaio. Nell’articolo si parla dei fatti di Charlie Hebdo e del clima emotivo che si era tradotto nell’hashtag #jesuischarlie. Vi si ricorda anche di quella svista mandata in onda dalla RAI, in occasione dei festeggiamenti di fine anno, il maleducatissimo e stupido sms contenente una bestemmia. Melloni appare indignato e sostiene che in una società pluralista si finisca con l’imporre alle religioni di “Accettare l’irrisione più disgustosa come se al pluralismo fosse indispensabile una remissività illimitata dei credenti”. Secondo lui ciò è sempre da evitare, dato che il nome di Dio deve essere pronunciato con rispetto per coloro che credono.
Ora, se avere rispetto delle altrui convinzioni è dovere di tutti, io sono convita che vi siano forme di ironia e satira che escano dalla normale dialettica quotidiana. La satira può anche essere una forma d’arte. E chi non la apprezza, semplicemente non compra il giornale o non apre il blog sulla quale essa viene pubblicata. Non si tratta di qualcosa gridato a gran voce per la strada in modo da essere sbattuto in faccia a chiunque. E io temo ogni tipo di censura, in tutte le forme d’arte. L’arte da sempre offre uno sguardo diverso sul mondo che ci circonda. Mi pare che il limitarla arrechi solo più povertà alla nostra società.
Proprio per questo motivo, dai fatti di Charlie Hebdo ho preso l’abitudine di comprare quel giornale. E guardate bene: la satira non è la mia lettura preferita, ma sento il bisogno di salvaguardarla e in un certo senso di rendere omaggio ai suoi poveri redattori, morti solamente per aver fatto della satira. Rinnego con tutta me stessa la violenza e il folle gesto di chi li ha messi a tacere.
Francamente sono cattolica, praticante, e voglio un gran bene a quel Dio che sento da sempre al mio fianco; ma sono ugualmente stanca di aver come compagne di viaggio persone che ritengono di avere l’unica verità e di doverla difendere con la forza unita, purtroppo assai spesso, all’uso di potere accumulato, magari, proprio in virtù di un credo religioso.