Il mio desiderio di diventare mamma, di cullare un esserino, di coccolarlo, di non farlo piangere, di spogliarlo, rivestirlo per poi spogliarlo e rivestirlo ancora, mi è sorto un bel po’ di anni fa quando i miei genitori, in occasione di un natale dei primi anni Settanta, mi regalarono l’unico e inimitabile Cicciobello. Non c’è dubbio che la mia generazione si divideva tra quelli che giocavano con Cicciobello e quelli che, molto più alla moda, si baloccavano con le Barbie. I primi andavano piano, seguendo la tradizione, gli altri sentivano già aria di cambiamento e, dando molta importanza all’aspetto fisico e al look, facevano mille esperienze con costumi smaglianti, sandali di ogni colore e scampagnate dentro un camper rosa di plastica.
E così quando ieri ho saputo che era morto il designer Gervasio Chiari, inventore di Cicciobello, ho fatto un tuffo indietro negli anni. Ricordo esattamente perché questo bambolotto mi sembrava incredibile: prima di tutto piangeva come un matto e io potevo consolarlo e quindi calmarlo, poi il corpo morbido di tessuto con le gambette di plastica mi permetteva di tenerlo in braccio come fosse un vero bambino; cosa impossibile con le bambole tutte rigide, perché interamente in plastica o troppo morbide perchè di tessuto. E poi ho nell’orecchio le parole di una cara zia che spesso mi diceva: “Quando è nato, tuo fratello aveva dei grandi occhi blu; era così bello che sembrava Cicciobello”.
E con queste parole il bambolotto si è fatto mito e dunque per me è indimenticabile.
L’ha ribloggato su paologori.
Che bello questo post!