
Ci sono immagini che ti rimangono in mente fin da bambina e ti accompagnano nel corso di tutta la vita: io ho un quadro di Domenico Gnoli. Una testa vista di spalle, con dei bigodini. Colori tonali, dal grigio al verde, su una superficie quasi materica, come se la figura fosse davanti a un muro. Non ho mai pensato al volto di quella figura: in effetti non riesco a immaginarmi se sia uomo o donna. La figura assume il valore di un oggetto; la composizione è come una natura morta con quel tanto di ambiguo che ti lascia in sospeso. La testa prende tutto il quadro: è solida e imponente.
Gnoli è stato un grande artista italiano, nato negli anni tenta e morto nel 1970. Si fa fatica ad inserirlo in un qualsiasi movimento artistico. Negli anni dell’astrattismo espressionista ha sempre continuato a disegnare immagini figurative; ha collaborato con il teatro come scenografo ed è stato anche illustratore.

Muore giovane, a soli 37 anni, e molte delle sue opere sono raccolte nella fondazione creata dalla moglie Yannik e da Ben Yacober, a Maiorca, dove lo stesso pittore trascorse molto del suo tempo.
Di lui ci rimangono gli ingrandimenti pittorici degli oggetti o le bellissime grafiche che dimostrano la sua originalità e bravura.

Il critico Walter Guadagnini ha raccolto le lettere e gli scritti dell’artista in un bel libro, pubblicato da Abscondita nel 2004. E pensando a quella testa di bigodini, ho trovato nel libro questa spiegazione illuminante: “Ho dipinto un sacco di personaggi immaginari(…)e poi molti ritratti , ma con una differenza, che invece essere persone viste di faccia , sono persone viste di spalle. Perché, mi sono chiesto, si dipingono le montagne viste da ogni angolo e così le case, i fiori, gli animali, gli altri tutto. Gli uomini e le donne no , fanno eccezione e si dipingono solo di faccia , di tre quarti o di profilo . Perchè ?”.