Viviamo in un tempo caratterizzato dalla paura di chi è diverso da noi. Vi è addirittura chi invita a costruire muri o a buttare fuori ogni estraneo. Nessuno sembra considerare che l’unica ricchezza vera di questa umanità è la diversità. Grandi sono i paesi che hanno mischiato popoli e tradizioni, piccoli e periferici quelli più’ omogenei.
Ciò’ sembra valere anche per le persone, riflettevo, mente visitavo il nuovo museo di Charlie Chaplin a Corsier- sur – Vevey in Svizzera.
Il Museo è stato aperto nella sua casa dove ha passato i suoi ultimi anni vicino al lago Lemano. Quell’omino, apparentemente timido, era in verità un gigante: di origini umili (nato da attori girovaghi), crebbe in povertà e imparò a sbarcare il lunario come circense. Reinventò il cinema, vivendolo in maniera integrale: al museo ho appreso come egli non solo recitasse, ma anche dirigesse i film, ne scrivesse la colonna sonora e li montasse, integralmente. Il buffo inventore di Charlot, il vagabondo, era un talento poliedrico, più’ unico che raro. E quando comincio’ la caccia alle streghe del senatore Mc Carthy, un matto ossessionato dal pericolo rosso, lui seppe difendere le proprie convinzioni, anche lasciando l’America per sempre.
Il museo è una gita bella e divertente. Vi sono ricostruiti i set dei suoi film, e viene spiegato bene come lui si curasse di ogni aspetto della pellicola. C’è la baracca della famosa scena ne “ La febbre dell’oro”. ve la ricordate? Quella che oscilla sull’orlo di un precipizio. Ci entri dentro e oscilla non appena ti sposti, come nel film.
E ci sono tante altre cose che ti fanno capire il suo genio: bella è l’entrata nel suo mondo, col sipario che si alza e dischiude una serie dei suoi set. Quella fu l’ultima dimora per Chaplin, con un grande parco, le scuderie e cosi’ via: vi crebbe la tribù’ di figli avuti dalla Oona O’ Neill. Ma vi ricevette anche i grandi personaggi del suo tempo: tutti (sono ricordati in una stanza del museo) lo andavano a trovare: da Einstein alla nostra Sofia Loren.
Tutti cercavano la compagnia dell’omino di origini Rom. Perché scorgevano in lui una grande ricchezza interiore. Che poi è ciò’ che conta nella vita.