
Falah, Khalat, Mohammed, Sagida , Aya, Mustafa, Mouthader, ce l’avete fatta : siete salvi, siete in Svizzera. Avete lasciato la guerra in Siria e Irak. Siete un gruppetto di bambini e siete stati accolti, assieme alle vostre famiglie, in case per rifugiati: stretti in piccole stanze con le cucine e i bagni in comune , avete cominciato a riprendere a vivere, a curarvi, siete tornati a scuola . Non è passato neanche un anno da quando siete arrivati. Non conoscevate una parola di francese : ora lo parlate meglio di me.
Avete donato a tutti bellissimi disegni e abbracci pieni di affetto. Portate ancora traccia delle cose orribili che avete vissuto. Brutture che ogni giorno si allontanano di più, ma che lasciano il segno: qualcuno di voi è arrivato perfino a perdere i capelli dallo stress o è ancora preda dell’ansia di perdere qualcosa di importante.
E cosa succede a chi non ha avuto il coraggio, la forza, di partire? A tutti gli altri bambini? Chi sono i responsabili di questa carneficina che non accenna a fermarsi? I mesi trascorsi sono stati usati più per mettere a punto sistemi per fermare gli arrivi, che non per realizzare corridoi sicuri di uscita da questa guerra senza tregua.