Vanno a ruba: sono dei piccoli dischetti a tre eliche che i ragazzini portano ovunque; li tengono in mano e, con l’indice, li fanno girare. Si sono presentati come giochi che stimolano l’attenzione, con alcuni che comunque li demonizzano. Ma tutti i ragazzini ormai li desiderano. Ne sono già apparse diverse edizioni, con nuovi colori e migliori prestazioni: c’è addirittura un modello chiamato Lamborghini, per la sua velocità.
Da sempre il gioco è parte della vita di tutti noi. Giocano tutti, bambini e adulti. Come ci ricorda Stefano Bartezzaghi nel suo libro La Ludoteca di Babele, Umberto Eco ha “proclamato ( il gioco) bisogno insopprimibile per l’umanità. Se sparisse non si tratterebbe solo del venire meno di un’antica abitudine ,ma di una sorta di mutazione antropologica: come se passasse l’appetito a tutti quanti”. ( Stefano Bartezzaghi, La ludodeca di Babele, Utet p.32).
Non esiste una regola per i giochi ma, come una buona mensa scolastica deve proporre ai bambini un alimentazione equilibrata e sana in cui si impara a dare importanza alla salute, così il gioco dovrebbe essere pensato e proposto in modo intelligente, come uno spazio per crescere e per imparare ad affrontare le sfide della vita in modo attivo e con ottimismo.
Bisognerebbe saper riconoscere un gioco cattivo come si riconosce un alimento cattivo. La scuola dovrebbe pensare bene a quali giochi proporre, proprio come fa per un menù della mensa.
Queste trottole colorate a tre eliche, come la coca cola, le lascerei a casa e farei tuffare i bambini e i ragazzi dentro esperienze diverse: ping pong, collane di fiori, costruzioni, nascondino; insomma, cose semplici.
Perché ci sono dei giochi che ci avvelenano e da cui dobbiamo saperci difendere. Penso, in questi giorni, al gioco in rete per gli adolescenti, che arriva fino a spingere i ragazzi ad uccidersi; e poi mi domando: ma quanto dovrebbero essere lontane le slot machine e le sale gioco dalle scuole? Un chilometro, due? Alla fine, sono proprio una bella offerta legale volta a distruggere il piacere di giocare e a devastare le nostre vite.
Non c’è distanza sufficiente per queste cose, secondo me.