
Se l‘arte ha lo scopo di dare corpo a un pensiero quanto viene tradita se questo pensiero diventa rivestimento di un prodotto di consumo? E se poi questo tradimento avviene per mano di un altro artista? Allora lo scacco è doppio.
Il mio scoramento deriva dall’aver visto l’altro giorno, a Milano, le nuove borse di una nota casa di moda rivestite con le immagini di opere di Rubens, Tiziano, Van Gogh, ma a firma di Jeff Koons. E’ stato come ricevere uno schiaffo; mi sono soffermata un po’ davanti alle vetrine e ho notato che non c’è turista che non si fermi a rimirarle o a fotografarle. Sullo sfondo c’era una grande Monna Lisa (state tranquilli: c’era anche la borsa con sopra l’immagine leonardesca). Sullo sfondo di un’altra vetrina, un dipinto di Van Gogh riprodotto su una borsa, posta in primo piano, che sfoggiava anche la firma dell’artista. Mi consolo pensando ai diritti pagati ai musei per queste immagini e capisco bene che non sono foto tratte dall’originale, ma una serie di riproduzioni dipinte a mano, su larga scala. Pero’ mi assale il dubbio: è stata una scorciatoia per evitare di pagare il copyright? .
Ormai prodotti come questi sono quasi banali; non è la prima volta che succede: chi non ricorda i frammenti dei quadri di Renoir sulle scatole di cioccolatini? E poi oggi i book shop dei musei mostrano più ombrelli, foulard e penne con sopra opere riprodotte che cataloghi e libri.
Cosa davvero mi indigna? E’ il fatto che siano a firma di Jeff Koons. E’ come se avessi davanti un readymade di lusso; ma l’effetto è ben lontano da Duchamp, perché quest’opera è un readymade svuotato da ogni pensiero e si offre ai passanti come un triste e unico souvenir per ricchi.
In questo articolo ho scelto di non mettere le foto di queste vetrine perché ogni volta che le opere si riproducono in quel contesto è come se si perdesse un po’ della loro originalità.