Mi è capitato fra le mani per caso un volume edito da Einaudi da leggere tutto d’un fiato, ma da meditare a lungo.
L’autrice è Donatella Di Pietrantonio, il titolo L’arminuta, la ritornata.
Una storia minima, l’ho definita, marginale, ma che implica un fortissimo coinvolgimento, perché il tema che affronta, in un modo del tutto originale, è la maternità. Una maternità non fatta di baci e carezze, non sublimata e resa perfetta dagli stereotipi, ma dura, difficile, incompleta, incomprensibile. Una maternità doppia, rappresentata proprio dalla presenza fisica di due madri, che doppiamente addolora: da una parte a causa della percezione del rifiuto e dall’altra a causa dell’incapacità di amare, perché troppo impegnati a sopravvivere. “Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza”, nessuna delle due ha saputo essere madre fino in fondo per la protagonista.
La storia sta tutta nel ritorno di una ragazzina adolescente alla sua famiglia di origine, in un paese dell’entroterra abruzzese (terra sempre amata e presente nelle opere dell’autrice), dopo aver vissuto un’intera esistenza, che potremmo definire “normale”, con un uomo e una donna che, fino al giorno prima di arrivare “al paese”, erano stati creduti gli unici genitori.
La storia si dipana a partire da un abbandono, inspiegabile agli occhi della ragazza, attraverso la ricerca della verità che ha causato l’abbandono e che lentamente viene a galla portando con sé un profondo e sconcertante dolore, che le fa esclamare: “Da quando le sono stata restituita la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori”.
Libro bellissimo, di grande poesia e delicatezza. Una curiosità, il lettore non conoscerà mai il nome proprio della protagonista, lei rimarrà per tutte le 163 pagine del volume semplicemente l’arminuta, la ritornata.