Negli anni ‘50 un prete che crede negli ultimi della società viene schiodato via dalla parrocchia di Calenzano, vicino a Prato, e spedito in un paesino di montagna, dove non arriva nemmeno la strada: Barbiana. Vi crea una scuola innovativa per i ragazzi di quelle montagne, che sarebbero costretti per sempre alla marginalità: insegnando a leggere e a scrivere, dischiude loro le porte dell’informazione e della cittadinanza, regala loro una nuova vita. Si chiama Lorenzo Milani, questo prete. E’ giovane e di buona famiglia. Ha sposato la causa di coloro che restano invisibili al mondo, perché poveri e incastrati in un ciclo di miseria ed esclusione. Erano tempi di ideologie e schieramenti politici nettissimi.
Ci fu chi lo prese per un comunista, chi lo credette un sovversivo. Lorenzo Milani, in verità, era un cristiano totale, di quelli delle origini, per i quali le Opere, quelle con la O maiuscola, valgono più di tanti discorsi. Niente ideologia nel suo apostolato: solo spazio per chi siede in fondo alla piramide sociale. Negli anni di Calenzano, un parrocchiano – tale Pipetta, soprannome toscano – divenuto comunista, gli confessa di sentirlo vicino a sé, di considerarlo uno dei suoi. E lui allora gli scrive una lettera e gli dice, in sostanza, che è una vicinanza solo apparente, perché quando Pipetta raggiungesse l’agiatezza e il potere lui, il sacerdote, lo abbandonerebbe e si schiererebbe coi nuovi poveri. Pipetta, gli dice, quel giorno (quando avrai il potere, ndr) io ti tradirò. Mai nessuno aveva scritto parole così radicali, in una prosa semplice e diretta. I suoi ragazzi oggi sono adulti e invecchiati, ma chi li incontra li trova sempre pronti a discutere del mondo e a impegnarsi per migliorarlo. Duri, come duro era lui, che non sopportava i soprusi di chi ha di più senza meritarselo. Un giorno lesse una lettera dei cappellani militari contro l’obiezione di coscienza. Davano dei vigliacchi agli obiettori. Rispose, coi ragazzi, perorando la causa dell’obiezione e della pace. Venne incriminato e processato per apologia di reato. E lui, che era malato e non poteva recarsi in tribunale, rispose anche ai giudici, con la franchezza e il rispetto che si devono alle istituzioni quando le si amano davvero. Disse loro, guardate, signori giudici, io non invito i ragazzi a disobbedire la legge; li invito a leggere la guerra e tutto ciò che le legato in un’ottica più ampia. Sono un maestro, diceva don Lorenzo, quindi devo insegnare a pensare. Non voglio che i ragazzi diventino dei semplici disobbedienti, voglio che sappiano dire no agli ordini ingiusti e alle leggi inique. Pensate a quei soldati tedeschi che commisero le stragi, durante la guerra, in giro per l’Italia. Oggi (ai tempi di don Milani) si giustificano dicendo che hanno obbedito agli ordini. La verità è che adesso semplice obbedienza non basta più’, se è priva di discernimento. “L’obbedienza non è più’ una virtù, ma la più perfida delle tentazioni”.
Don Lorenzo morì 50 anni fa di tumore, ignorato dalla chiesa ufficiale. In queste settimane il Papa è andato a Barbiana a rendergli omaggio, riconoscendone la statura di profeta. A Barbiana la sua tomba è meta di un continuo pellegrinaggio. Accanto a lui è sepolta Eda Pelagatti, la sua “perpetua”, come si diceva un tempo. Una persona così saggia da dire ai ragazzi: “voi partite per il mondo con le tasche vuote (i ragazzi alla fine della scuola venivano inviati a viaggiare, ma con mezzi assai scarsi): riempitele di opere buone, quelle tasche, e vi ritroverete una ricchezza quando lasciate questa vita”.