Il Canto degli Italiani, universalmente conosciuto come Fratelli d’Italia è divenuto ufficialmente, dopo ben 71 anni di attesa, l’inno nazionale della Repubblica Italiana.
La storia bizzarra che lo accompagna mette in luce molti aspetti delle stranezze patrie.
Fu composto intorno al 1847, in pieno periodo Risorgimentale, da un ragazzo di 20 anni, Goffredo Mameli, il quale ferito in battaglia al fianco di Garibaldi morirà a soli 22 anni di setticemia. Dalla sua giovane età, e dall’entusiasmo che ne consegue, nacquero quei versi che oggi, da scettici navigati, ci appaiono un po’ retorici e che invece sono lo specchio di un periodo storico dal quale si dovrebbero recuperare l’ardore delle idee e il sentimento di identità e appartenenza, che ci hanno abbandonato da un bel pezzo.
Tuttavia l’inno, bistrattato, non compreso, deriso a volte, ci ha accompagnato tutto questo tempo, resistendo alla concorrenza del coro del Nabucco di Verdi, quel Va pensiero che per anni è stato riproposto anche in sede ufficiale come sostituzione “colta” di quello che ad alcuni sembrava una marcetta senza profondità.
E invece a dimostrazione di ciò che diceva Flaiano “in Italia niente è più definitivo delle cose provvisorie”, l’inno ha resistito nei decenni ed ora è finalmente divenuto inno ufficiale.
Noi siamo contente, anche se non lo sentiremo risuonare negli stadi russi per quest’anno, e vi lasciamo ad un pezzo magistrale di Benigni di qualche anno fa che ne spiega le origini e il significato, nella speranza che questa accorata e toccante spiegazione ce lo faccia amare un po’ di più a dispetto dei suoi innegabili difetti.