Non piangere più

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Il mio desiderio di diventare mamma, di cullare  un esserino, di coccolarlo, di non farlo piangere, di spogliarlo, rivestirlo per poi spogliarlo e rivestirlo ancora, mi è sorto un bel po’ di anni fa quando i miei genitori, in occasione di un natale dei primi anni Settanta, mi regalarono l’unico e inimitabile Cicciobello. Non c’è dubbio che la mia generazione si divideva tra quelli che giocavano con Cicciobello e quelli che,  molto più alla moda, si baloccavano con le Barbie. I primi andavano piano, seguendo  la tradizione, gli altri  sentivano già aria di cambiamento e, dando molta importanza all’aspetto fisico e al look, facevano mille esperienze con costumi smaglianti, sandali di ogni colore e scampagnate dentro un camper rosa di plastica.imgres-1

E così quando ieri ho saputo che era morto il designer Gervasio Chiari, inventore di Cicciobello,  ho fatto un tuffo indietro negli anni. Ricordo esattamente perché questo bambolotto mi sembrava incredibile: prima di tutto piangeva come un matto e io potevo consolarlo e quindi calmarlo, poi il corpo morbido di tessuto con le gambette di plastica mi permetteva di tenerlo in braccio come fosse un vero bambino; cosa impossibile con le bambole tutte rigide, perché interamente in plastica o troppo morbide perchè di tessuto. E poi ho nell’orecchio le parole di una cara zia che spesso mi diceva: “Quando è nato, tuo fratello aveva dei grandi occhi blu; era così bello che sembrava Cicciobello”.

E con queste parole il bambolotto si è fatto mito e dunque per me è indimenticabile.

Scatti d’arte

afficheLa guerra tra pittura e fotografia si può dire conclusa? Si direbbe ormai di sì: chi si interessa d’arte oggi non può fare a meno di interessarsi di fotografia.  Il mezzo fotografico è un modo, un mezzo per fare arte perché, dopo le esperienze di artisti come Duchamp e Picasso (readymade e i collage),  tutto può concorrere all’idea generale di arte.

Ci sono fotografi che amano creare delle finzioni sceniche come se preparassero un set  da fotografare. La finzione non viene celata, ma il visitatore la riconosce subito guardando la foto. Per farvi un esempio, a Nyon in questi giorni, presso la galleria  Focale, si tiene la mostra di una fotografa italiana Simona Bonanno, che lavora proprio con questo stile. La mostra, intitolata Chains of silence (catena del silenzio), presenta una serie di fotografie che riproducono storie tragiche vissute da donne di tutto il mondo. Niente di più crudo e reale, raccontato attraverso delle bambole.

Simona Bonanno,Begm S.-Pakistanaise
Simona Bonanno,Begm S.-Pakistanaise

Le foto sono raccapriccianti, ma non si riferiscono ad un corpo umano bensì ad una serie di Barbie. Ogni bambola è stata scelta, preparata per lo scatto fotografico come su un set o su una scena teatrale. In fondo anche questa fase preparatoria non può essere scissa dall’opera: è come se l’artista avesse creato una piccola installazione. L’effetto finale è realistico, ma si tratta pur sempre di un’altra realtà. Ognuna di essa è avvolta in un tessuto, coperta dalla materia, bruciata. Nelle foto si sente il contrasto tra un gioco innocente, come la bambola, e la violenza dell’immagine. Si passa dalle donne auto immolate delle province afghane a quelle violentate e massacrate in Algeria, sepolte vive in Turchia. Un omaggio dunque a quante muoiono nel nome della tradizione più retriva, dell’odio  e dell’ignoranza.

Simona Bonanno, Auto-immolation de femmes afganes
Simona Bonanno, Auto-immolation de femmes afganes

La serie di questi lavori ha vinto, nel 2010, il Prix Julia Margaret Cameron  e sono già state esposte in Argentina, Israele e Turchia.