Pablo Neruda: la forza dell’arte

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L’arte può essere forte più delle ingiustizie e può far paura più di un’arma. Questo mi ha ricordato il film che ho appena visto e che arriverà nei cinema in Italia a febbraio: Neruda un film di Pablo Larrain.

Pablo Neruda e la sua fuga dal regime dittatoriale cileno del presidente. Il poeta, ritenuto da Harold Bloom fra i cardini della civiltà occidentale, fuggi’ dal paese nel 1948, dopo che il presidente in carica scatenò una violentissima repressione contro i minatori in sciopero e, poi, contro tutti coloro accusati di comunismo. E il poeta comunista lo era davvero, sino al punto di osannare Stalin (poi se ne pentì, in qualche misura) e di allinearsi sempre con l’unione Sovietica, in politica internazionale. Eppure Neruda del comunista aveva poco: viveva bene, nell’agio e amava divertirsi, aveva lavorato come diplomatico in giro per il mondo e faceva parte di una élite intellettuale cosmopolita. Ma aveva vissuto gli anni della guerra di Spagna, ove l’orrore fascista raggiunse livelli prima impensati, maturando un viscerale comunismo che lo accompagnò per la vita.

Il film non è un racconto fedele, tutt’altro. Neruda dopotutto era uno scrittore e dunque la storia si svolge a metà fra  invenzione letteraria e realtà.  Il poliziotto che lo insegue assume i caratteri di un personaggio di romanzo e trova libri, invece delle tracce del poeta. Ma verissima è la sua fuga, che lo portò a vivere all’estero per anni, con una parentesi anche in Italia a Capri: ispirò Antonio Skarmeta e il suo libro: El cartero di Neruda (chi non ricorda il bel film di Massimo Troisi Il postino tratto da quel libro?). Neruda ne esce ritratto nelle sue contraddizioni, anche personali; una donna, che lo ammira come poeta comunista, gli chiede: “ma quando verrà il comunismo, vivremo tutti come te (ossia nell’agio) o come me, che pulisco la merda dei padroni da quando avevo undici anni?”. Neruda risponde: “come me”, ma lo fa a testa bassa e con infinito imbarazzo. 

Il film è bello perché vi si incontrano anche il suo amore esclusivo per la poesia (che declamava incantando la gente), nonché la sua dedizione assoluta alla causa della giustizia sociale. Fa venir voglia di leggerlo, questo poeta. E questo mi pare che sia già molto.

Ripensare le baraccopoli

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Baraccopoli, bidonvilles, slums. Tutte parole che indicano un’unica realtà: quella di un buon 30% dell’umanità che vive in alloggi precari, fatti con materiali di fortuna, senza accesso ad acqua potabile, servizi igienici, fognature e così via.

Talora sono enormi: ospitano fino al 60% della popolazione di alcuni grandi agglomerati urbani in certi paesi africani. Mostri che sono il risultato di tanti fallimenti legati alle politiche sociali, alla pianificazione urbana, al modello di sviluppo economico adottato e così via. Non voglio parlare qui delle ragioni che hanno favorito il crearsi degli slum (il miglior libro da leggere, se siete interessati a questo argomento, rimane quello scritto anni orsono da Mike Davis: Planet of Slums, pubblicato da Verso nel 2006).

Vi voglio invece parlare di cosa ha pensato un architetto cileno, Alejandro Aravena,vincitore quest’ anno del premio Pritzker (da tanti chiamato il Nobel per l’architettura), per migliorare la situazione abitativa degli abitanti di alcuni slum nel suo paese. Aravena è partito dal fatto che mancano oggi case decenti per almeno un miliardo di persone e che il ruolo dell’architetto è quello di contribuire alla soluzione dei problemi sociali del nostro tempo. Aravena pensa che le Università non mettano gli studenti di architettura in grado di affrontare problemi come quello delle baraccopoli e delle loro unità abitative di base.

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Aleyandro Aravena

Se ne è uscito con un’idea: quella della mezza casa decente, ossia un’unità larga quanto una casa monofamiliare di base, ma riempita solo a metà. Tetto, fondamenta e infrastrutture sono completi, ma solamente un paio di stanze sono finite. Ciò consente di cominciare a offire un riparo decente, con mezzi ridottissimi e, al tempo stesso, consente ai proprietari di completare la casa coi propri mezzi, investendo in materiali durabili, poco più di ciò che metterebbero comunque nell’acquistare materiali per una casa precaria (il che è reso possibile dal lavoro di base – tetto etc. –  già compiuto e finito).

Nel quartiere disagiato della Quinta Monroy a Iquique, nel nord del Cile, nel 2004, ha costruito 93 alloggi col budget previsto per farne 30 completi. Fare di più con ciò che si ha a disposizione; abituarsi a lavorare in condizioni di scarsità: questa è la filosofia di Aravena, che implica anche una grande pulizia mentale nella fase di progettazione. Del resto, lui ritiene – in linea con la sociologia del nostro tempo – che le diseguaglianze siano anche frutto di fattori culturali e che il ruolo della pianificazione e della gestione urbana sia fondamentale per eliminarle.

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Aleyandro Aravena

Aravena ha costruito 2500 alloggi sino ad oggi. Va detto che si è anche attirato delle critiche per  la gestione dei suoi progetti, che hanno prodotto le case ma non sono stati completati da un lavoro di miglioramento urbano necessario per un habitat salutare: così oggi nella Quinta Monroy si trovano le sue case inserite in spazi pubblici insalubri e sporchi. Una critica più forte è poi venuta dal fatto che Aravena ha legato i suoi progetti a un grande gruppo di costruttori cileni, che così hanno avuto accesso a zone ove non ne avrebbero avuto alcuno, e che il supervisore e coordinatore nazionale cileno per la ricostruzione urbana – quindi il “controllore” del suo lavoro – è un membro fondatore del suo studio di architetto (riportato dal numero di questo mese di: Le Monde Diplomatique).

La critica più radicale è contro la sua filosofia: rischia, invece di favorire la redistribuzione di ricchezza a favore dei più svantaggiati, di lasciare le risorse in loro possesso immutate, facendo di meno con quello che hanno.

Tutte critiche che possono essere giuste. Ma un punto rimane: nessuna disciplina professionale può ormai esimersi dal confrontarsi coi problemi del mondo di oggi. La sfida è quella della sostenibilità e vale per tutti. Anche per gli architetti e per chi gestisce le città. E un mondo col 30% della gente che vive nelle baraccopoli è tutto fuor che sostenibile. Magari dal lavoro di Aravena si può prendere spunto per fare meglio in materia di sviluppo urbano. E non mi sembra poco.

Chiacchiere del lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Dopo quarant’anni di silenzio il vulcano Calbuco in Cile ha eruttato spettacolarmente il 23 di aprile, costringendo gli abitanti delle sue pendici ad una disastrosa evacuazione. Un terremoto di un’intensità e di una violenza inaudita il 25 aprile ha distrutto Katmandu e molti villaggi della sua valle, causando oltre 2000 vittime e radendo al suolo gran parte del patrimonio architettonico e storico della capitale nepalese. Tragedie e ancora tragedie come se la terra volesse scrollarsi l’umanità da dosso…

L’Italia intanto ha celebrato i 25 aprile, festa della liberazione, e noi vogliamo ricordare questa data attraverso le parole di Antonio Caponnetto, uno degli eroi simbolo della lotta al crimine organizzato italiano, dedicandole ai nostri figli: “ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare, e di agire da uomini liberi e consapevoli. State attenti, siate vigili, siate sentinelle di voi stessi!
L’avvenire è nelle vostre mani”.

Vogliamo augurare una buona settimana a tutti con due chiacchiere tipicamente italiane: la prima è che per la prima volta in assoluto è stato fatto e cotto un piatto di spaghetti al pomodoro “creato” da una stampante 3D. Gli inventori pensano che questo rappresenti il futuro del cibo, che potrà essere inventato in casa o riprodotto alla perfezione con i parametri e le materie prime che i grandi chef venderanno via internet. Infine esistono 5 ragioni scientifiche che  ci inducono fin da ora a pensare di andare al mare… Infatti l’acqua ci riporta al nostro stato naturale. Lungo la costa siamo più rilassati. L’acqua ci rende felici. L’acqua ringiovanisce le menti stanche. Il blu dà sollievo.

Mah? Tutto vero ahimè! Buona settimana!