Antiruggine e silenzio

SilenzioA Castelfranco Veneto, a Borgo Treviso 158, esiste un luogo che è stato una fucina, qui si lavorava il ferro, che con tenacia e sudore acquistava un’altra forma. Oggi la fucina non c’è più, ma è diventata spazio creativo di altro genere dove pensiero e idee prendono forma. È qui che spesso si esibisce Mario Brunello ed è qui che ha presentato il suo libro edito da Il Mulino, nella nuovissima collana della casa editrice “parole controtempo”, intitolato semplicemente SILENZIO. Brunello è fra i violoncellisti più amati e apprezzati non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo. Una delle sue caratteristiche è quella di voler portare la musica fuori dalle sale da concerto tradizionali, sperimentando così non solo nuovi schemi melodica, ma anche inusuali modi di comunicazione.

Il libro di Brunello è suddiviso come se si trattasse di una sonata, in quattro movimenti. Sonata: il silenzio nella musica degli uomini; Lied: il silenzio nella musica della natura; Scherzo: il silenzio nella musica delle cose; Finale: Tema e Variazioni. Il silenzio nella musica dei sensi. Al termine l’autore concede anche un Bis, in favore del rumore.

Brunello in questo volumetto di poco più di un centinaio di pagine, racconta cos’è il silenzio e quale parte importante ha non solo nella musica ma in ogni atto creativo.: “c’è un silenzio dell’ascolto e di conseguenza un silenzio di chi richiede di essere ascoltato, cioè da parte di chi ha creato l’opera e di chi deve farla vivere… è uno spazio da caricare, riempire di senso e di significato” (p. 45).

Elogio, dunque al silenzio, ma anche riscatto del rumore: “Il rumore diventa suono , in qualche maniera si nobilita, quando a provocarlo è un qualcosa a cui si dà un valore, un’attività che si ama o che c’entra con la passione”. Un rumore quando è isolato nel silenzio, è un evento che in genere crea interesse e sveglia la curiosità” (p.117).

Brunello afferma altrove, a proposito delle 6 suite di Bach: “un silenzio, per me, è un luogo che ha una sua presenza, agli occhi e alle orecchie. Sta lì, con la sua personalità. A me interessa soprattutto un tipo di silenzio, il silenzio in cui è nata la musica. Lui mi lascia entrare e io lascio che mi segni, in qualche modo: mi adatto a lui e poi inizio a suonare. Così il mio suono si sistema in quel silenzio, e in quel silenzio accade Bach…”

Come non dargli ragione?

 

 

 

 

Immagini per comunicare

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Sarà perché sono pochi giorni che con un’amica sono riuscita a scaricare un programma che mi permette di mandare oltre ai messaggi telefonici anche una miriadi di immaginette, come un alfabeto di facce che ridono, cuori, mille specie di animali; sarà perché sono in lotta perenne con una figlia che vuole farsi fare un tatuaggio, ma in questi giorni riflettevo su come le immagini abbiano preso il sopravvento nella nostra vita.

Per esprimere un pensiero si invia un’icona, per ricordare qualcosa che ci preme lo traduciamo in immagine e ce lo tatuiamo sul corpo. Alcuni simboli,  poi, c’è chi ha trovato il modo di tradurli  con la punteggiatura. Un nuovo modo di esprimersi, un nuovo alfabeto .

Per gli storici dell’arte lo studio dell’iconografia è cosa decisiva per accostarsi ad un opera. L’esempio più semplice sono le raffigurazioni dei santi: ognuno aveva i suoi attributi e così tutti li  riconoscevano.

Mi chiedo se presto verranno fondate nuove cattedre universitarie dedicate all’iconografia comune, direi quotidiana, del XXI secolo, oppure se con il tempo cesseremo gradualmente di usare molte parole  e ci rivolgeremo agli altri solo con faccine stupite, allegre e tristi.

Le immagini ci sommergono: quando gli adolescenti escono e si incontrano, in verità trascorrono una buona parte del loro tempo in comune a scattare foto da  caricare subito sui social media. E così che la  nostra cultura si basa sempre più sul vedere e tale condizione ci porta a confondere  le preziose distinzioni tra “il vero essere e il semplice apparire ”. (David Foster Wallace, Di carne e di nulla, Einaudi, 2013, p. 102).

La nostra immagine, la scelta  delle immagini che facciamo per comunicare un’ emozione, oppure l’immagine incisa sulla pelle che non potrò più cancellare,  mi proiettano tutta verso l’atto di mostrarmi: sono come un attore sul grande schermo, perché come ancora Wallace ci dice “la caratteristica più significativa delle persone  oggi è la guardabilità”.

E ora l’arte visiva, che nasce per essere guardata, come ne esce da questa trappola? Riuscirà a rimanere indenne da questo nuovo modo di porsi? Non credo, perché in fondo gli artisti  sono essi stessi immersi in questo mondo.

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Yoko Ono, Summer Dream, Fondation Bullukian, Lione, 2013

Connettersi e comunicare, ad esempio, è ciò che ha sperimentato Yoko Ono con la sua opera Summer Dream,  presente alla 12esima Biennale di Lione: incoraggia i visitatori a descrivere i propri sogni d’estate su un computer. Si tratta di testi brevi,  che in un secondo momento vengono proiettati con una scritta elettronica su una panchina collocata nel giardino presso la Fondation Bullukian. L’artista ci esorta “fate che i vostri sogni si realizzino su un muro, lontano…”. E così,  con questo atto, ci permette ancora una volta di portarci fuori da noi stessi e mostrarci al pubblico.