Una dichiarazione d’amore per l’Italia

girlfriend-in-a-comaFin dal titolo si intuisce che il film documentario scritto da Bill Emmott, ex direttore dell‘Economist e diretto dalla film-maker italiana Annalisa Piras non puó lasciare insensibili.
Girlfriend in a coma, che tradotto significa “la fidanzata in coma”, infatti, è due cose insieme: da una parte una profonda, entusiastica, struggente dichiarazione d’amore per il Bel Paese e dall’altra una crudissima, lucida, a tratti penosa denuncia del malcostume italiano.
Film decisamente scomodo, soprattutto prima delle elezioni politiche, tanto che la prima della pellicola, che doveva tenersi al MAXXI di Roma, é stata bloccata per volontà della presidente della fondazione del museo Giovanna Melandri, che ha motivato il gesto schermandosi dietro la par condicio che vige in questo periodo pre elettorale, ma che è stato bollato dalla stampa, soprattutto straniera, come un atto di “intellectual cowardice”, alla lettera codardia intellettuale.
Impietoso ritratto dei peccati di un’Italia, che, inutile negarlo, esiste, con le sue bassezze e le sue vigliaccherie, in balia di una classe politica corrotta e corruttrice che ha finito per soffocare quel “primato morale” che era la caratteristica principale degli italiani. Un vero e proprio collasso morale, che non ha eguale altrove nel mondo occidentale, scaturito da una crisi economica senza precedenti e aggravato da una classe politica che per decenni si è dimostrata più affezionata alla “poltrona” che al Paese. Eppure… eppure il film è anche uno spaccato sulle forze sane del paese, su quelle eccellenze che con difficoltà trovano spazio nelle cronache, su quella energia rinnovatrice che fa parte del DNA italiano.
Il film è realizzato come fosse un diario di viaggio tenuto da uno straniero che percorre l’Italia, l’ex direttore dell’Economist, appunto. Attraverso l’incontro e l’intervista di più di 50 personaggi italiani, Emmott trae le conclusioni sul male che ha colpito l’Italia. Gli intervistati sono nomi famosi che fanno parte dell’elite politica, culturale ed intellettuale del paese: da Mario Monti, a Carlo Petrini fondatore del movimento Slow food, a rappresentanti della cultura e dell’arte come Umberto Eco, Nanni Moretti e Roberto Saviano a personaggi del mondo economico quali Sergio Marchionne o Jhon Elkan. Tutti raccolti al capezzale della povera fidanzata in coma. Tutti sferzati da domande anche insolenti, ma che aprono scenari inquietanti. Lo stesso autore spiega “Temo che qui ci sia qualcosa per offendere tutti. Diamo uno sguardo alla corruzione istituzionalizzata del Paese, al crimine organizzato, al sistema politico cleptocratico e all’influenza perniciosa della Chiesa”. E di sicuro non risparmia nessuno.
Non nego che è stato difficile arrivare alla fine del film. Ho veramente provato un senso di malessere di fronte a verità per troppo tempo nascoste e ad italici atteggiamenti che non ci fanno onore.
La parte finale della pellicola poi comprende una serie di interviste a persone che hanno per scelta o necessità lasciato l’Italia.
E qui, da italiana, per di più residente all’estero, mi sono dovuta porre una serie di domande su atteggiamenti che sono anche i miei. Tutti gli intervistati infatti si proclamavano disperati per essere lontani dalla patria, ma allo steso tempo affermavano che così come stanno le cose di tornare non se ne parla. Tutti auspicavano un cambiamento, tutti si sono riempiti la bocca di “se si cambia siamo i primi a tornare” ed è proprio qui l’inghippo… Ma se i cambiamenti non contribuiamo a farli anche noi da lontano non solamente divenendo esempi di quelle virtù italiche che in patria non sono più apprezzate, ma in prima persona concorrendo al dibattito sul cambiamento, non è la nostra una forma di vigliaccheria che ci condurrà a veder morire la fidanzata in coma?
Da vedere per riflettere e agire…

Chiacchiere del lunedì

Prova mafalde

Tahar_Ben_JellounLa crisi è colpa degli stranieri?

Noi che siamo stranieri in un paese che ci ospita siamo sensibili a parole quali identità,  appartenenza, integrazione, diversità e rifiuto. E così mi ha colpito in modo particolare un articolo di Tahar Ben Jelloun, uscito su l’Espresso del 10 gennaio scorso, in cui si metteva in luce come una delle più pericolose conseguenze della crisi economica in Europa sia un rinnovato vigore razzista, che affonda le sue idee nel  disprezzo per gli immigrati irregolari, ma anche  per tutti quei cittadini che sono figli di genitori stranieri.

Temo che il pregiudizio sia figlio dell’ignoranza! La paura dell’altro va di pari passo con la paura del cambiamento, il pericolo che alcuni perdono di poter perdere qualcosa faticosamente conquistato. Finché non ci sarà spazio per la tolleranza non sarà possibile raddrizzare le cose e la tolleranza si acquisisce con la volontà di comprendere. Comprendere altre culture, altre idee, altre religioni con occhio sereno.

A dire la verità, è così. Questo disprezzo non è neanche così subdolo e nascosto: anzi sempre più si manifesta alla luce del sole.  A chi non è capitato negli ultimi tempi di subire o dover ribattere a una battuta di troppo contro le minoranze straniere? Eppure è sempre più consistente il numero di persone che vivono a cavallo di culture diverse. In modo particolare, mi tocca da vicino la vita dei  figli dei genitori stranieri e quanto sia delicata per essi la questione dell’identità.  Queste persone si trovano una doppia sfida:  assimilare e comprendere la cultura dei propri  genitori, ma anche vivere a pieno quella del paese in cui vivono. Un sfida resa ancor più difficile se devono affrontare la disonestà intellettuale  e la stolta arroganza di persone razziste.

Sono fiduciosa nelle capacità delle nuove generazioni. Ad esempio i nostri figli così esposti, così apparentemente fragili, in realtà si stanno preparando ad un mondo nuovo, in cui l’altro, il diverso, non fa più paura. 

C’è un modo per proteggere questo  nuovo cittadino che rappresenta  la fusione tra il suo passato e il suo presente?

No, non credo che esista! Però lasciamo loro le ali per volare alti!