Le pennette dell’artista

penne dell'artistaDopo aver apprezzato il ricco programma istituzionale di Artgèneve che contava espositori quali il Polo museale di Losanna, la Kunsthalle di Zurigo, il Museo Rodin di Parigi il Mamco e il Centro di arte contemporanea di Ginevra, il monumentale Wall drawing di Sol Lewitt, The pool bar con il meglio delle gallerie partecipanti, dopo aver percorso in lungo e in largo gli stand dell’esposizione, ebbene, si è manifestato in me un certo languorino… Insomma dopo aver nutrito abbondantemente lo spirito, essermi riempita di tanta bellezza, mi è sembrata l’ora di placare un certo appetito che incominciava a farmi rallentare il ritmo della visita.

Niente di meglio che fermarsi ad assaggiare una delizia che prima ancora di essere vista si poteva annusare nell’aria. All’opera un cuoco che come spesso accade danzava fra padelle, pentole e ingredienti e che ha attirato subito la mia attenzione per la grazia con cui affrontava la preparazione. Mi sono incantata.

Non so se si trattava di un’invenzione del momento o se la ricetta ha un nome o è conosciuta, io l’ho ribattezzata: le pennette dell’artista…

Ingredienti per quattro persone

300 g di Pennette

mezzo litro di panna liquida da cucina

una zucchina

una carota

una patata

mezza cipolla

pomodori sott’olio 

una manciata di pinoli

aragosta sbollentata a pezzetti (ma anche i gamberi vanno benissimo)

un paio di cucchiai di pesto

rucola fresca

parmigiano grattugiato

Sale e pepe q.b.

Mentre fate cuocere la pasta tagliate a dadini molto piccoli la verdura, spezzettate i pomodori sott’olio, mettete la panna in una padella capiente e aggiungete tutte le verdure (no la rucola no). Lasciate che le verdure si cuociano un pochino nella panna (ci vorrà molto poco essendo davvero tagliate sottili!). Dopo qualche minuto aggiungete il pesto, i pinoli e l’aragosta sbollentata a pezzetti (o i gamberi). Scolate la pasta, che intanto si sarà cotta, e fatela saltare nella salsa che avete ottenuto. Solo a questo punto aggiungete la rucola ben lavata e asciugata e una bella spolverata di parmigiano reggiano appena grattugiato. Mantecate ancora per qualche minuto e servite.

In fondo anche questa è un’opera d’arte, no?

 

Ma che cavolo mangiamo?

cavolo neroSiamo ancora in pieno inverno, nel picco dell’influenza, ma proprio di questo periodo dell’anno è una verdura dalle virtù eccezionali: il cavolo nero.

Antinfiammatorio (utilizzato per ridurre distorsioni e tumefazioni), ricchissimo di omega3 (gli antiossidanti che aiutano il nostro organismo) sali minerali e vitamine, perfetto per risvegliare il sistema immunitario, il cavolo nero è stato un po’ dimenticato nella cucina recente.

Vi proponiamo per riscoprirlo una ricetta facile, veloce che non vi impuzzolirà la casa per settimane (questo è il difetto purtroppo più evidente della famiglia dei cavoli!) ma dal gusto deciso. Piatto di magro se si elimina la pancetta e il formaggio, ma ugualmente saporito, ottimo per la Quaresima e anche per i vegetariani più esigenti.

Pennette al cavolo nero

un cavolo nero

una cucchiaiata di dadini di pancetta affumicata

due etti di ricotta

olio evo

peperoncino

una cipolla

un bicchiere di latte per ammorbidire la ricotta

parmigiano

sale quanto basta

Sciacquare sotto l’acqua corrente il cavolo nero e ridurlo in listarelle, in una padella far imbiondire la cipolla e la pancetta nell’olio. Quando la cipolla è diventata lucida aggiungere le foglie di cavolo nero e lasciare andare a fuoco medio per 10 minuti, a fine cottura aggiungere un po’ di peperoncino se si preferisce piccante.

Intanto cuocere le pennette in abbondante acqua salata. A cottura quasi ultimata farle saltare insieme al cavolo nero, alla cipolla e alla pancetta. Aggiungere la ricotta stemperata con un po’ di latte e il parmigiano. Voila

 

Alimentarium : fra cultura e marketing

Alimentarium, Vevey
Alimentarium, Vevey

In questi giorni ho visitato l’Alimentarium un museo dedicato all’alimentazione nella cittadina di Vevey in Svizzera.Ero in compagnia di un giornalista che si occupa della storia dell’alimentazione e dalla conversazione con lui è scaturito questo commento:

Sulle rive del lago di Lemano, dove ha la sua sede principale, la Nestle ha organizzato un museo intitolato “Alimentarium”, intendendo occuparsi in chiave moderna di cultura dell’alimentazione umana. Dopo le opere di Massimo Montanari, uno dei maggiori storici dell’alimentazione, è divenuto comune lo slogan “alimentazione come cultura”: per intendere che il cibo dell’ uomo è stato nei secoli, com’è oggi, un prodotto artificiale e quindi culturale. I modi di cucinarlo, ammannirlo, presentarlo, gustarlo sono derivati dalle diverse e svariate manifatture delle civiltà che nei secoli si sono succedute ed hanno trasformato il prodotto naturale in alimento connaturato alle mode ed a i gusti correnti. La cucina non è mai “naturale”: è stato scritto che da quando l’homo sapiens è passato dall’economia di predazione all’economia di produzione (alcune decine di migliaia di anni fa) ci siamo sempre procurati il cibo artefacendolo, cioè modificandone la naturale composizione, quindi il sapore e il gusto, con elaborazioni e fantasia. Cioè con la cultura. “Sapori per mezzo dei saperi”; si dice oggi che c’è un solo cibo che possa dirsi interamente naturale. Quale? Un piatto di ostriche, sempre che non siano cotte, scottate, condite con salse e via dicendo.

Quindi è in letteratura fiorente l’abbinamento fra alimentazione e cultura; sono sorti i trattati di culinaria, gli studi della storia d’alimentazione, le riflessioni sul gusto. Perché, ci ha insegnato Marvin Harris, non è vero che è buono ciò che piace. Invece è buono ciò che ci hanno insegnato a considerare buono: non buono da mangiare, ma buono da pensare. Anche il gusto quindi, è un risultato culturale.

In questo fecondo (ed oggi molto battuto) filone si è inserita la Nestlé, aprendo un museo che espone gli svariati modelli alimentari delle varie epoche, i meccanismi della cucina (anch’essa variata nel tempo), gli strumenti della produzione e della culinaria, del galateo, fino all’esposizione di opere d’arte che hanno fatto riferimento al cibo del uomo.

Quasi a farsi perdonare per l’enorme e brutto opificio moderno che spicca sulle sponde del lago, il museo è stato ospitato nella splendida villa primo-novecentesca che è stata la prima sede della ditta. Come oggi si conviene c’è una sezione didattica in cui sciamano i bambini, una più direttamente culturale con i riferimenti al passato e al presente, un self service, le illustrazioni ed esposizioni su supporto elettronico. Senza dimenticare che la Nestlé è un’ impresa commerciale: quindi – con discrezione e buon gusto – è ben presente anche lo scopo del marketing, con opportuni richiami anche storici al gustoso prodotto che da Vevey si sparge in tutto il mondo.

Chi volesse saperne di più sul museo: http://www.alimenterium.ch

I riferimenti bibliografici sulla storia dell’alimentazione sono quelli offerti dalle diverse opere del professor Massimo Montanari, Università di Bologna

Oggi non si “fa il piatto” si “impiatta”!

julia child“Impiattare”, ma siamo sicuri che esista davvero questo verbo? Che nel vocabolario abbia un suo posto fra “impiastro” e “impiccagione” (ho controllato credetemi non ce n’è traccia!)? Che faccia parte della tradizione culinaria italiana, magari del gergo gastronomico?

Bho! Non è molto importante, importante è notare, in questa epoca di crisi profonde, quanto la cucina, il cibo e tutto ciò che ruota attorno ad esso entrino prepotentemente nella nostra vita quotidiana attraverso la televisione. Non c’è programma, magazine, notiziario che non dedichi almeno una rubrica al cibo.

Che si tratti di Master Chef (Italia, USA, addirittura Australia) o della bellona di turno che si posiziona dietro i fornelli, dello sconosciuto cuoco o di Julia Child, veniamo bombardati quotidianamente da “ganache” al cioccolato, “fumetti” di pesce,  “supreme” di pollo, legumi alla “bordolese” e chi più ne ha ne metta!

La cucina è diventata spettacolo. Godiamo del povero aspirante cuoco maltrattato, vessato dallo chef di grido. Facciamo il tifo per chi riesce ad impanare meglio la fettina, ci agitiamo in poltrona dando consigli come davanti alla nazionale di calcio. Il nostro metodo è senz’altro migliore, più efficace, più gustoso di quello mostrato. Tutto fa spettacolo, la lacrima di chi deve lasciare i reality e la parolaccia quando capitano da cucinare le rane, i duelli ai fornelli, le gare a chi cucina il piatto più innovativo!

Cucinare è nel DNA degli italiani, siamo tutti bravi, se non altro utilizziamo di preferenza materie prime fresche e in genere di ottima qualità, è vero, ma attenzione a questi specchietti per le allodole. Cucinare in modo professionale è tutt’altra cosa. Occorre una lunga preparazione e una lunga gavetta. Essere “creativi” in cucina è molto pericoloso, lasciamolo fare a chi ha studiato anche la composizione degli alimenti, a chi ha la competenza per accostare sapori ed odori, non tutti siamo nati “chef”. La cucina oltre che un’arte è una scienza e richiede dunque non solo talento, ma lunga preparazione.