Architetture inumane

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E’ curioso leggere l’articolo apparso su House &Home, uno dei supplementi del Financial Times, il fine settimana. E’ dedicato a quelle architetture nel mondo che si possono anche descrivere usando l’aggettivo “inumane”. L’articolo ne sceglie nove e tra esse, ahimè, c’è anche il nostro MAXXI, Il museo d’arte contemporanea di Roma, disegnato dall’architetta Zaha Hadid, inaugurato nel 2009 dopo dieci anni di lavori. Il problema è che non si riesce a dar torto all’articolo: il museo è da capogiro, non ci sono stanze e non si è operata nessuna distinzione tra gallerie e corridoi. L’effetto del MAXXI è spiazzante: non si riesce a seguire un filo conduttore e molte volte anche le opere vengono sminuite dagli ampi spazi aperti. In sua difesa, pero’, potrebbero correre tutti quei curatori e studiosi che credono nella necessità di confondere il visitatore, allontanandolo dal percorso abituale di un museo tradizionale. Uno di questi, ad esempio, è il direttore del museo Mamco di Ginevra dove – non per motivi legati all’architettura, ma per sua precisa scelta curatoriale – è stato allestito un percorso fatto di ambienti molto diversi tra loro, che non si fondono con coerenza perché pensati per spiazzare il visitatore.

L’articolo del Financial Time prosegue con altri otto edifici che qui di seguito vi elenco:
-J.Edgar Hoover Building a Washington DC (la sede del FBI);
-Nehru Place, New Delhi costruito negli anni Settanta;
-European Parliament di Strasburgo, inaugurato nel 1999;
-The Mogamma Cairo costruito a fine anni Quaranta;
-The national Palace of Culture, di Sofia, Anni Settanta;
– La stazione di Shinjuku, Tokyo;
-The Barbican, a Londra, inaugurato nel 1969;
-La Grande Hall of the People, a Pechino, costruita negli anni Cinquanta.JR-East-Shinjuku-Station-South

Come vedete, nella lista, si trova di tutto: musei, stazioni, sedi del parlamento o centri commerciali. L’articolo comincia con un battuta di Winston Churchill riportata dallo scrittore Kate Allen : “Noi diamo forma ai nostri edifici e dopo gli edifici formano noi”. Una battuta, certamente, ma tanto vera da fare pensare: sono sicura che ognuno di noi ha subito, nell’ambiente in cui è cresciuto, il fascino o semplicemente la presenza a volte un po’ troppo ingombrante, di un qualche edificio.

Che felicità

Che felicità quando senti che un giornale straniero importante come il Financial Times parla bene del tuo paese.

Che felicità, ti si allarga il cuore e dentro di te pensi che c’è ancora speranza.

Questo è ciò che ho provato la scorsa domenica quando,dopo pranzo, ho letto l’articolo di Harry Eyres dal titolo: A passeggiata to Italy. Il giornale ha, per l’edizione di sabato e domenica, un supplemento che è un po’ come il domenicale del Sole 24 Ore: Eyres vi tiene una rubrica, the Slow Lane. Già questo nome, la corsia lenta, la dice lunga sull’impostazione dell’autore: vi parla di stili di comportamento e situazioni che privilegiano la qualità di ciò che viviamo piuttosto che la quantità o la velocità. E proprio per questo parla ogni tanto di Italia.

Questa volta lo fa in maniera davvero intelligente. Parte da una tradizione tipica della nostra provincia: la passeggiata in centro, nel tardo pomeriggio, ossia lo struscio (chi non lo conosce o non l’ha fatto almeno una volta?). Eyres nota come il rivestirsi e rendersi ben presentabili per passeggiare avanti e indietro sul Corso, in modo da vedere e farsi vedere, non sia una mera esibizione, ma un modo per mantenere legati i fili che costituiscono il nostro tessuto sociale. Lo definisce una sorta di antidoto all’atomizzazione della società di oggi.  A un certo punto dice anche: “è qualcosa che abbiamo perso, nel nostro mondo (si riferisce a quello anglosassone) se mai lo abbiamo avuto”.

E’ così che finisce col legare la passeggiata a uno stile di vita desiderabile, bello, conscio dell’importanza del fattore sociale nella vita d ognuno di noi. E siccome siamo in Italia, fa seguire la passeggiata dall’aperitivo (e qui si stupisce di mangiare una serie di leccornie offerte liberamente sul banco del bar, mentre beve un bicchiere di buon vino). E chiude dicendo: a questo punto sono pronto per la solenne attività della cena.

Ah, l’Italia. Ancora maestra di stile di vita nelle piccole cose di ogni giorno, che sono il sale dell’esistenza, e così capace di rovinarsi l’immagine  nel mondo a causa delle furberie meschine di pochi.

Ma verrà mai un periodo nel quale saremo rispettati a tutto tondo, per lo stile, per come ci comportiamo, per come siamo?