Perchè odio l’arte di Jeff Koons

Le opere di Jeff Koons sono presenti in questi mesi in Svizzera, alla Fondazione Beyeler, con una grande mostra a lui dedicata.

Consiglio di vederla, ma fate attenzione perché chi vedrà le sue opere per la prima volta potrà rimanerne affascinato o irritato. A me succede sempre di provare il secondo stato d’animo.

A dire il vero, il mio primo incontro con le sue opere è avvenuto a Venezia, alla biennale del 1990. Ero in compagnia di mio padre e alle Corderie mi trovai di fronte ad una grande scultura policroma, a grandezza naturale, che ritraeva l’artista stesso in un amplesso con la porno star Cicciolina, all’epoca sua moglie.  Avevo poco più di venti anni ma ricordo il senso di disagio e imbarazzo.
Oggi sono certa che la mia irritabilità nei suoi confronti non è più imbarazzo, ma rabbia. Perché so che questo artista americano, definito un’artista neo-pop, manipolatore dei mezzi di comunicazione, illustratore ironico della vita americana e del consumismo, ha fatto centro e le sue opere hanno colto appieno la nostra epoca.

Nel suo mondo ludico, di giochi e pupazzi giganti, leggo il fallimento dell’occidente, dove l’uomo ha messo al centro della sua vita l’apparenza e dove tutto è merce di scambio, per alimentare una macchina che produce ricchezza materiale. Non c’è sobrietà nelle opere di Koons, come non c’è sobrietà nella società in cui vivo. Allora davanti alle sue opere tutto è possibile, ci si ritrova come su una giostra: si vivono attimi intensi di svago in un caos quasi piacevole e anestetizzante.

Ecco perché odio l’arte di Jeff Koons: perché mi ricorda tutto quello da cui vorrei sottrarmi.

La mostra sarà alla Fondazione Beyeler  dal 13 maggio al 2 settembre. In mostra troverete molti dei suoi lavori e nel giardino della fondazione potrete ammirare la scultura monumentale composta di fiori intitolata Split-Rocker.

Darwin, Cavalli Sforza e…il transito

La copertina del catalogo

A proposito di transito, chiunque abbia dimestichezza o solo qualche frequentazione  con questo argomento, sa che la prima cosa da cui si viene investiti quando si è in transito è il “miscuglio di tipi”.

Asiatico, europeo, afro e via dicendo, sino alla completa circumnavigazione del globo e ritorno.

Ci sono dei posti, che in quanto a miscuglio di “tipi” offrono una varietà tale che a  viverci si ha la stessa impressione che si avrebbe sfogliando pagine di antropologia.

La Svizzera,  e la Côte du Leman,  ne sono  veramente un notevole esempio.

E allora, capita  di incrociare occhi decisamente asiatici su un viso troppo pallido per essere tale o occhi troppo chiari per venire dallo stesso medio-oriente da cui proviene il resto del volto,  e cosi via.

Tra un pensiero fugace e l’altro su questo argomento, ci si ritrova a farsi domande dal sapore lontanamente antroplogico.

E noi, che siamo italiani, ci accorgiamo che italiano è uno dei piu’ importanti  genetisti e antropologi  a livello mondiale, Luigi Luca Cavalli Sforza, che lo scorso Gennaio  ha compiuto 90 anni.

Il suo 90esimo compleanno coincide con l’apertura a Roma di Homosapiens, mostra di cui Cavalli Sforza è curatore. E non  una mostra qualunque, ma la prima grande mostra internazionale, che ci dice da dove veniamo e come siamo riusciti a popolare l’intero pianeta.

Cavalli Sforza, riportando un pensiero che fu già di Darwin,  ci illumina sull’impossibilità di parlare di razze all’interno del genere umano, data la variazione dei caratteri umani profondamente continua.

E cosi, la prossima volta che guardando qualche nostro compagno/a di “transito”, ci scopriremo ad ammirarne  il risultato di combinazioni genetiche delle piu disparate, ci conforterà sapere che queste sono anche la meravigliosa conferma che il razzismo non è scientificamente accettabile.