Esiste la bellezza eterna?

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Gian Emilio Malerba, Le amiche, 1924

Umberto Eco lo spiega molto bene nell’introduzione al volume Storia della Bellezza “ la bellezza non è mai stata qualcosa di assoluto e immutabile ma ha assunto volti diversi a secondo del periodo storico e del paese”. Dunque come può essere eterna e immutabile? Eppure c’è, nella storia dell’arte, chi l’ha pensata in maniera diversa. Ce lo racconta la mostra in corso al Museo Mart di Rovereto, dal titolo l’Eterna bellezza: vi sono raccolte opere di un gruppo di artisti italiani che puntarono a  raggiungere questo obiettivo, facendosi produttori di bellezza, nel solco della tradizione passata.  Questi artisti operarono  a cavallo delle due guerre mondiali, si raccolsero sotto il nome di Novecento ed ebbero nella critica Margherita Sarfatti la loro maggiore sostenitrice e promotrice.

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Antonio MaDonghi, Il giocoliere, 1936

Artisti figurativi che in chiave classicista cercavano una bellezza da contemplare. Il Novecento non fu un movimento compatto, in verità: al suo interno vi furono diverse anime, dato che ogni artista intraprese – per toccare l’apice di questa eterna bellezza – una sua strada molto  personale e non di rado anche in contrasto o disaccordo con il gruppo.  Le uniche costanti furono le regole dell’equilibrio e della sobrietà, l’ordine degli elementi nella composizione, l’impianto geometrico e prospettico e, infine, un senso ripetuto di pace e lentezza delle scene dipinte. Dopo che le avanguardie avevano osato o tentato di spezzare le catene con il passato, ora una calma piatta e rigorosa sostituiva l’impeto della furia e della provocazione. Una produzione artistica che fin da subito fu ben accolta dal fascismo e da Mussolini: già durante la prima mostra (Novecento italiano, del 1926), al Palazzo della Permanente di Milano, il dittatore la sentì come un perfetto linguaggio per incarnare il nuovo spirito italiano.

La mostra, a cura di Daniela Ferrari e Beatrice Avanzi, è partita da Madrid, ed è realizzata in collaborazione con la Foundaciòn MAPFRE di Madrid. Raccoglie più di un centinaio di opere ( Carrà , Castrati, Cagnaccio di San Pietro…) e rimarrà visitabile fino al 5 novembre.

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Carlo Carrà, Estate,1930

Un angelo alla mia tavola

Sempre pensando se l’arte è un percorso privilegiato dell’esistenza mi domando se, chi possiede una particolare sensibilità artistica, oltre a sentirsi escluso dal sentire comune può, in qualche modo avvicinarsi a delle esperienze che non sono lontane dal trovare la felicità. Sono molti gli esempi nell’arte che vengono in mente e sappiamo bene come, per alcuni artisti questa sensibilità sia stata un fardello troppo grande che li ha schiacciati, pensiamo a Van Gogh. Ci sono però anche artisti  che hanno fatto del loro sentire e del loro “squilibrio”  un punto di forza come  l’artista giapponese Yayoi Kusama che per tutta la vita ha prodotto dei lavori che sono come un’espansioni delle sue ossessioni. Elementi puntiformi, sferici linee curve che si ripetono all’infinito si moltiplicano e si espandono fino a comprendere lei e noi  nello spazio.

Proprio poco tempo fa  mi sono imbattuta in un bellissimo libro dal titolo Un angelo alla mia tavola della scrittrice neozelandese Janet Frame. La scrittrice scomparsa nel 2004 ha fatto dello scrivere la ragione della sua sopravvivenza. Questo libro  autobiografico (in verità sono tre volumi ma pubblicati in uno solo con quel titolo per l’Italia da Neri Pozza) racconta tutta la sua vita segnata dalla schizofrenia (in realtà presunta dai dottori e poi sconfessata). Un fatto devastante, che l’ha condotta a trascorrere parte della sua vita  dentro e fuori gli ospedali psichiatrici. Anche in questo caso l’arte l’ha salvata e scrivendo ha trovato la strada di fuga dal dolore.

Il libro non racconta solo di questo  ma scorre tanti episodi dall’infanzia, alla povertà,  i dolori della crescita prima con la morte della sorella e poi l’orrore dell’ospedale psichiatrico, il tentativo di suicidio e il ritorno alla casa paterna.

Senz’altro Frame è una delle più grandi scrittrici della seconda metà del Novecento Janet Frame per due volte nominata per il Premio Nobel ci fa entrare nela sua vita in modo secco e diretto che ti tiene legato a lui fin dalle prime pagine.

Dal libro è stato anche tratto un film della regista Jane Campion.

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