… e la chiamano estate!

Siamo quasi alla fine di questa estate anomala fatta di pioggia e nuvole arrabbiate. Un’estate che ci ha portato venti di guerra, tragedie annunciate, fosche previsioni per il futuro.

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Ma come l’avete passata voi questa estate? Siete riusciti a raggiungere l’agognato riposo che portano le vacanze o anche voi come milioni di altri vi siete ritrovati su una spiaggia super affollata a chiedervi cosa diavolo ci facevate li?

Io, complice il tempo inclemente, grazie al cielo, questa estate l’ho passata leggendo! Ho letto tanto e di tutto, rifacendomi di ciò che non ero riuscita a leggere durante l’anno, partendo dal presupposto che non dovevo nutrire pregiudizi di alcuna sorta (come troppo spesso mi accade). Allora via al Trono di spade (tutta la raccolta fin qui scritta da Martin, accidenti quanti nomi!), che ho trovato inusitatamente piacevole, ai nuovi gialli di De Giovanni (Buio, In fondo al tuo cuore), e poi ancora Gadda (Quer pasticciaccio brutto, che è sempre inarrivabile), Pennac (riletti tutti i libri su Malaussene), un certo numero di autori italiani di cui ho trattenuto Piersandro Pallavicini con il suo esilarante Una commedia Italiana (come non riconoscersi nella protagonista un po’ attempata della vicenda?) e molti altri di cui mi sfuggono nomi e origini e che mi sono gustata sotto l’ombrellone munita del doppio occhiale (da lettura e da sole, immagine tristissima del raggiungimento di una certa età).

In mezzo a tutto ciò fra le decine di volumi che ho divorato c’è un gustosissimo libriccino di un polacco dal nome impronunciabile: Reality di Marius Szczygieł. Bello, bello e poetico, incentrato sul senso del tempo che passa, scandito dall’esistenza di personaggi quasi insignificanti che tuttavia costituiscono, loro malgrado, le pedine della realtà, che cuciono insieme le epoche creando la storia.

Reality“Ritratti di donna, veri piccoli gioielli letterari: una casalinga di Cracovia che per tutta la vita tenne un diario non parlando mai di sé ma annotando scrupolosamente tutto quel poco che le capitava: dal 1943 al 2000: 38196 telefonate; 5817 regali fatti; 1922 appuntamenti fissati… Poi un misterioso elenco di donne trovato dall’autore sotto il tavolino di un caffé; il rettore dell’università di Cracovia che fa costruire e collocare a sue spese nel corridoio dove passano gli studenti il monumento all’amata moglie ancora viva; la corrisposndenza tra due amiche che si scrissero ogni settimana per 52 anni, mentre la Polonia passava dal comunismo al capitalismo” (Francesco M. Cataluccio, Domenica del Sole 24 Ore, 21.08.11).

La bellezza delle cose insignificanti, della vita che scorre, del passaggio di uomini  e donne destinati a non essere ricordati, ma che tuttavia hanno vissuto esistenze dignitose senza lasciare traccia di sé…

 

 

Oggi non si “fa il piatto” si “impiatta”!

julia child“Impiattare”, ma siamo sicuri che esista davvero questo verbo? Che nel vocabolario abbia un suo posto fra “impiastro” e “impiccagione” (ho controllato credetemi non ce n’è traccia!)? Che faccia parte della tradizione culinaria italiana, magari del gergo gastronomico?

Bho! Non è molto importante, importante è notare, in questa epoca di crisi profonde, quanto la cucina, il cibo e tutto ciò che ruota attorno ad esso entrino prepotentemente nella nostra vita quotidiana attraverso la televisione. Non c’è programma, magazine, notiziario che non dedichi almeno una rubrica al cibo.

Che si tratti di Master Chef (Italia, USA, addirittura Australia) o della bellona di turno che si posiziona dietro i fornelli, dello sconosciuto cuoco o di Julia Child, veniamo bombardati quotidianamente da “ganache” al cioccolato, “fumetti” di pesce,  “supreme” di pollo, legumi alla “bordolese” e chi più ne ha ne metta!

La cucina è diventata spettacolo. Godiamo del povero aspirante cuoco maltrattato, vessato dallo chef di grido. Facciamo il tifo per chi riesce ad impanare meglio la fettina, ci agitiamo in poltrona dando consigli come davanti alla nazionale di calcio. Il nostro metodo è senz’altro migliore, più efficace, più gustoso di quello mostrato. Tutto fa spettacolo, la lacrima di chi deve lasciare i reality e la parolaccia quando capitano da cucinare le rane, i duelli ai fornelli, le gare a chi cucina il piatto più innovativo!

Cucinare è nel DNA degli italiani, siamo tutti bravi, se non altro utilizziamo di preferenza materie prime fresche e in genere di ottima qualità, è vero, ma attenzione a questi specchietti per le allodole. Cucinare in modo professionale è tutt’altra cosa. Occorre una lunga preparazione e una lunga gavetta. Essere “creativi” in cucina è molto pericoloso, lasciamolo fare a chi ha studiato anche la composizione degli alimenti, a chi ha la competenza per accostare sapori ed odori, non tutti siamo nati “chef”. La cucina oltre che un’arte è una scienza e richiede dunque non solo talento, ma lunga preparazione.