Vedrò Singapore?

supertreesDi utopie urbanistiche la storia dell’architettura è colma. Di progetti architettonici che hanno cercato, a volte semplicisticamente, di realizzare nuovi modelli di nuclei urbani, frutto dell’immaginazione di pensatori riformisti e filosofi, ne sono rimasti moltissimi.

Le “città ideali” del Rinascimento, ad esempio, che offrivano il “modello perfetto” di agglomerato, capace di risolvere insieme i problemi urbanistici e sociali, sono state teorizzate dai grandi di quei secoli quali Tommaso Moro, Campanella o Francesco Bacone che con dovizia di particolari si sono prodotti nell’esercizio di ripensare gli spazi urbani.

Nel 1898 Ebezener Howard si pone nella scia dei grandi filosofi del passato e teorizza la “città giardino”. Come afferma Bruno Zevi: «Come scrittore e sognatore di nuove comunità, Howard è l’ultimo della lunga schiera di utopisti del XIX secolo; come statista e realizzatore, è, più che un profeta, il primo campione dell’urbanistica moderna» (B. Zevi, Storia dell’architettura moderna, p. 70). La città giardino è la soluzione ideale per coniugare i benefici della campagna con la tecnologia della città. L’obiettivo è di decongestionare le grandi città attraverso il decentramento della popolazione in città satelliti immerse nel verde della campagna. Questo a grandissime linee il suo pensiero. Dunque le città giardino si dovevano fondare su un equilibrio armonico tra residenza, industria e agricoltura e furono anche fatti tentativi di realizzazione di tali dettami. Ma i tempi non erano maturi.

Recentemente però una città ha cercato di sviluppare un progetto che può essere assimilato alle città giardino di Howard: Singapore.Le serre Qui infatti con uno sforzo economico non indifferente è stato realizzato un progetto ciclopico per rendere la città la prima “tropical Garden City” del mondo, un luogo dove vivere e lavorare meglio. Su 101 ettari di terreno, in gran parte strappati al mare, sono stati realizzati i Gardens by the Bay, 7 differenti giardini botanici ognuno dedicato a un differente ecosistema: Flower Dome, Cloud Forest, Supertree Grove, Heritage Gardens, Dragonfly & Kingfisher Lakes, Bay East Garden, World of Plants. Ma le attrazioni che rendono questo parco unico sono le due immense, le strutture in vetro più grandi del mondo che hanno vetri ad alto rendimento e un sistema di climatizzazione alimentato da tecnologia ecosostenibile: il Flower Dome, che conserva la flora del clima mediterraneo, e la Cloud Forest, con la fauna delle regioni tropicali.

La zona a più alto impatto emozionale è però quella dei supertrees, super alberi che vanno dai 25 ai 50 metri, con un nucleo di calcestruzzo e un cappello che oltre a raccogliere l’acqua piovana e incanalarla nel sistema di irrigazione, ospita i pannelli solari che servono a creare l’energia elettrica per tutto il parco. Essi sono completamente rivestiti di vegetazione con felci, orchidee e piante rampicanti e di notte si accendono creando un vero e proprio spettacolo di luci.

Questo parco progettato da un team di ingegneri, architetti e agronomi che hanno lavorato fianco a fianco per la sua realizzazione, si serve di una tecnologia a basso consumo energetico, basandosi sulle energie rinnovabili divenendo così un esempio principe della sostenibilità energetica in un’area che fino a cinquant’anni fa ospitava solo impenetrabile foresta equatoriale, che oggi è una megalopoli ma che allo stesso tempo vuole recuperare la sua vocazione alla natura.

Il sogno di essere riuniti…

È quasi l’ora delle partenze e degli arrivederci (perché la parola «addio» l’ho sempre trovata così defnitiva…). Il tempo inevitabilmente trascorre e molti dei nostri figli sono (quasi) pronti a lasciarci.

Parlo di coloro che hanno finito la scuola e sono pronti a spiccare il volo da soli in un altro luogo diverso dal così ben definito e protetto «qui», proiettati verso un altrove che, sì fa paura, ma esercita anche una fortissima attrazione.

È stata per loro un’estate lunga e un processo lungo, attraverso il quale, ho colto, il desiderio di distaccarsi piano piano, senza fratture, da quello che è l’ambiente avvolgente e sicuro della famiglia e delle sue routine.

Fra qualche settimana loro saranno nel pieno della propria avventura e a noi rimarranno camerette ordinatissime e silenziose.

È su questo tema, quello della lontananza, che si basa una parte dei lavori di  John Clang, giovanissimo fotografo di Singapore. Nella sua insolita serie intitolata Being Together utilizzando  Skype e proiettori riunisce famiglie distanti migliaia di chilometri.

Il sogno di essere riuniti si compie nell’opera di Clang in modo digitale, ma non senza una profonda poesia.

… sì, viaggiare!

Aprire gli occhi sul mondo, tentare di comprendere altre culture dimenticando le proprie routine per assorbirne di nuove, essere senza pregiudizi di fronte al diverso in qualsiasi forma ci si presenti, pur conservando una profonda identità che mi lega alle mie radici, ecco cosa significa per me viaggiare.

Prendere un treno, un aereo, l’auto per andare altrove è una sensazione fantastica e ogni volta mi da una scarica di adrenalina che potrebbe svegliare anche l’animo più sopito.

E l’essere in viaggio, ancor prima dell’arrivare, mi procura una gioia immensa.

Riesco ad apprezzare perfino le sale d’attesa delle stazioni o i luoghi di transito degli aeroporti.

Provo, infatti, un fremito nei grandi terminal internazionali… Seppellitemi all’aeroporto di Changi a Singapore o fatemi morire di caldo per i problemi all’aria condizionata nell’aeroporto di Adelaide in Australia (40 gradi all’esterno probabilmente un milione all’interno) o ancora fatemi atterrare a Koh Samui dove il terminal è tutto fiorito e i passaporti li controllano sotto una costruzione in stile Thai e io vi ringrazierò di aver avuto l’opportunità di vivere l’esperienza.

Gente che va e viene, storie che si incrociano, colori, suoni, luci, profumi (e puzze, per carità).

Lo spostamento mi intriga, grazie ad esso riesco a guardare il mondo con occhi nuovi e con l’animo dei bambini e ringrazio il cielo di aver avuto la possibilità finora di averlo potuto fare… ma se spostarsi fisicamente un domani mi fosse precluso? Allora senza indugio farei scattare il mio piano B, che già utilizzo abbondantemente: il web… Navigare, o meglio “surfare” grazie a Internet attraverso paesi, idee, scritti, lingue diverse… chi lo avrebbe mai potuto immaginare fino a qualche anno fa… allora, dalla mia poltrona, sì che potrei cantare con Battisti: sì viaggiare, evitando le buche più dure