Cartoline

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La cartolina di oggi la vogliamo spedire a tutti coloro che pensano che una donna che subisce violenza (di qualsiasi natura essa sia) in fondo se l’è un po’ cercata, in fondo ha dato al suo aggressore segnali contrastanti che l’hanno messa nella condizione di “meritare” in qualche modo questa punizione.

Aldilà dei tecnicismi, aldilà delle sentenze e dei fiumi di parole che si scrivono in questi casi, noi vorremmo solo affermare con forza che la violenza sulle donne, di qualsiasi natura sia, non può avere attenuanti.

Un “no” è un “no” a prescindere da chi lo pronunci e in quale situazione.

Ci piacerebbe che il messaggio arrivasse forte e chiaro e per farlo usiamo le parole del Parlamento Europeo:

Con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;

l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima;

con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini;

 l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato;

 per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi;

 con il termine “donne” sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni.

Chi sa qualcosa sulla Convenzione di Istanbul?

Ferite a morteIeri si è svolto alla Camera, il dibattito relativo alla ratifica della Convenzione di Istanbul. Nonostante i tragici episodi degli ultimi giorni, che avrebbero dovuto invogliare i nostri rappresentanti al governo almeno a partecipare alla riunione, l’aula di Montecitorio è risultata tristemente vuota, a dimostrare che nonostante tanto parlare della violenza sulle donne, l’argomento, in fondo, interessa poco a tutti!

La Convenzione di Istanbul, firmata dagli stati membri dell’Unione Europea fin dal maggio del 2011 “è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza” e il suo cammino affinché si arrivi alla sua ratifica e alle leggi necessarie per la sua pratica applicazione in Italia pare ancora lento e lungo.

“L’Italia è presente e in buona posizione nella triste classifica dei femminicidi con una paurosa cadenza matematica, il massacro conta una vittima ogni due, tre giorni”, scrive Serena Dandini commentando il suo libro Ferite a morte. “Dietro le persiane chiuse delle case italiane si nasconde una sofferenza silenziosa e l’omicidio è solo la punta di un iceberg di un percorso di soprusi e dolore che risponde al nome di violenza domestica”.

Spesso l’atteggiamento delle vittime della violenza domestica è contraddittorio: donne che preferiscono “morire d’amore”, nella vana speranza che il loro “uomo aguzzino” possa cambiare per amor loro (chi non ha letto della candidata Miss Italia picchiata quasi a morte per gelosia e ora felicemente ricongiunta al suo compagno) piuttosto che denunciare; donne che non trovano la forza di chiudere relazioni impossibili convinte che non ci sia via d’uscita (spesso purtroppo giustizia e società non aiutano). Ma non è solo questo atteggiamento delle vittime che stende un velo di silenzio su queste vicende. La mia impressione è che nonostante il grande clamore, nonostante lo sdegno che suscita il “femminicidio” (termine orrendo, ma drammaticamente appropriato, proprio per la sua crudezza) l’atteggiamento generale è che di questa violenza dilagante e senza senso che coinvolge i più deboli della catena sociale, in fondo non se ne voglia realmente parlare. Il pensiero è “se non ne so niente il fatto non esiste” e si continua a vivere come se nulla fosse.

È necessario fare un passo avanti, cambiare radicalmente i costumi e gli atteggiamenti affinché questi tragici fatti non accadano mai più, dare voce a chi non ce l’ha e sostegno a chi è debole, cosa prevista dalla Convenzione di cui sopra, per lasciare alle nostre figlie, e non solo a loro, un mondo diverso in cui non essere considerate proprietà esclusive alla stregua di bambole di cera.