Orlando

Orlando-7Abbiamo parlato ieri di donne che cambiano il mondo e quindi, poiché ieri è stato anche il compleanno di Virginia Woolf, cogliamo l’occasione, che ci sembra ghiotta sulla scia delle notizie di cronaca che si susseguono, per divagare su uno dei suoi romanzi, definito dalla stessa Woolf un pastiche, un divertissement: Orlando.

Dal punto di vista stilistico Orlando è un mix di generi letterari diversi: un po’ poema cavalleresco, un po’ saggio critico, un po’ biografia classica, po’ romanzo vittoriano ma è anche ricco di assonanze proustiane e naturalmente scandito dal flusso di coscienza che l’autrice andava raffinando all’epoca della stesura.

Orlando è un personaggio affascinante che attraversa, ora uomo ora donna, diversi secoli della storia e della cultura inglese, 350 anni che corrispondono al periodo fra i 16 e i trentasei del protagonista. Con questo personaggio, circondato da ironia e levità, da un che di magico e di ambiguo, la Woolf fa una satira serrata e ardita alla rigida connessione, puramente sociale, fra identità sessuale e ruolo, difendendo l’androginia insita nell’essere umano, in cui convivono aspetti femminili e maschili. Orlando è l’unico protagonista di questa favola visionaria, ma pur essendo il solo è un essere cangiante, pieno di riflessi e sfaccettature e ricco anche di differenti toni interiori che l’autrice ha saputo esplicitare attraverso l’utilizzo del melange di generi diversi. Un testo modellato sui “doppi”, sull’immagine del protagonista allo specchio: una volta uomo, una volta donna. Orlando come gran parte dei personaggi della Woolf non è racchiuso in contorni precisi, attorno a lui/lei aleggia un senso di mistero, è avvolto da un alone di incompiutezza. Orlando è uomo e donna: “In lei era proprio quel miscuglio di uomo e donna a dare al suo comportamento un carattere spesso imprevisto” un personaggio al quale ci si affeziona, ricco di poesia e di coraggio che attraversa il mondo e le epoche con passo lieve, certo, ma con orgoglio e determinazione.

Da rileggere…

Della follia creatrice

CopertinaSto faticosamente leggendo un libro di quelli che possono essere definiti “difficili”, bellissimo e straziante allo stesso tempo, a metà fra il saggio scientifico e l’opera letteraria. Innanzitutto qualche parola sul suo autore, Eugenio Borgna, definito il più grande psichiatra italiano, colui che nelle sue opere ha indagato l’intero ventaglio delle emozioni umane dalla nostalgia ai sentimenti di colpa, dall’inquietudine e dalla disperazione, all’ansia e ai rimpianti, dalle attese e dalle speranze, alla gioia e alla solitudine.

Il tema di questa sua nuova fatica è la follia, indagata non in senso clinico ma come presenza ineluttabile nella vita di ognuno di noi. Di armonia risuona e di follia infatti si riferisce proprio alla nostra vita che quando è colpita inevitabilmente dal dolore e dalla sofferenza diviene follia. Tale follia non è destinata a divenire patologica ma  può squarciare il velo della cosiddetta “normalità” e preludere addirittura alla creazione artistica. Il tentativo dell’autore è “di cogliere le radici umane della follia, che rifiuta le razionalizzazioni spietate per cui solo la cruda calcolante ragione cartesiana può confrontarsi con il senso della vita e tiene invece conto della crepuscolare legge pascaliana che allude alla presenza del dolore come una fatale compagna del nostro cammino”. La follia dunque come esperienza ineliminabile della vita, che comunque in tempi quali i nostri si cerca di normalizzare più rapidamente possibile.

Una parte importante del libro è dedicata all’influenza che la follia così interpretata svolge “sulla immaginazione creatrice di persone geniali”, l’autore si concentra infatti sulla “dimensione creativa della sofferenza psichica” e sulla possibile connessione dell’esperienza artistica con questo tipo di stato d’animo. Dall’altra parte Borgna afferma: “Le opere d’arte aiutano la psichiatria a conoscere meglio gli sconfinati orizzonti delle emozioni, e delle loro forme di espressione, che nei volti e nei gesti, nei paesaggi dell’anima, si condensano, e si fondono, in arcobaleni impensabili ai linguaggi e ai modi di guardare della psichiatria clinica. Ogni radicale creazione artistica si fa mediatrice, e generatrice, di risonanze emozionali che la vita di ogni giorno tende a rimuovere, e che dilatano vertiginosamente i confini della nostra anima. Ci immergiamo così in relazioni palpitanti di vita con quelle che sono state le emozioni, e l’immaginazione, degli autori delle opere d’arte; partecipando del loro dolore e della loro tristezza, della loro angoscia e della loro inquietudine, della loro gioia e della loro speranza”.

Dunque la scintilla della follia, come risultante del dolore che è inevitabilmente presente accanto a noi, fa parte del nostro essere e come avverte l’autore: “Solo se si seguono sentieri diversi da quelli abituali è possibile guardare alla follia con occhi rinnovati dalla esperienza mai finita del dolore, dalle letture dei testi non solo psicopatologici ma poetici e filosofici, dalle intuizioni improvvisamente riemergenti della vita dal mettere fra parentesi ideologie, e tradizionali modi di pensare”.

Un avvertimento per non avere paura delle nostre fragilità…